SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Il giorno della memoria, in ricordo della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche dove gli ebrei erano “vittime” sacrificali e il ritiro delle truppe israeliane dalla striscia di Gaza dove gli stessi invece fungono da “carnefici” (la parola è impropria, ma volevo comparare le due posizioni), danno lo spunto ad una riflessione.
La prima cosa che viene in mente è la scarsa sensibilità di un popolo, o di chi li governa, che nella storia ha sofferto e subìto violenze di ogni genere e che a sua volta commette gli stessi errori. Gli ebrei sono stati osteggiati, perseguitati e cacciati in varie epoche da buona parte dei territori europei dove hanno cercato di inserirsi nel tessuto sociale d i quei popoli che li ospitavano per ricominciare una nuova vita. Sotto il dominio nazista sono stati derisi, umiliati, utilizzati, tormentati; hanno perso ogni dignità, è stata calpestata la loro cultura, sono stati sterminati.
Tutto ciò li ha resi più forti, determinati a resistere , a convivere ogni giorno con la morte, pur di difendere quella terra che è stata dei loro avi. E’ il modo con cui la difendono che lascia perplessi: ogni qualvolta ci sono state crisi nella regione, per salvaguardare i loro pur legittimi interessi ci sono andati giù pesanti, uccidendo migliaia fra bambini e civili inermi e impartendo lezioni severe e gravi perdite al nemico che comunque sembra non capire.
I palestinesi (i civili) purtroppo non hanno la forza di opporsi al terrorismo islamico e il sunnita Abu Mazen (il presidente dell’Autorità Palestinese) e unico interlocutore attualmente in grado di trattare con Israele, è sempre più in difficoltà.
La reazione degli israeliani, dal punto di vista psicologico ed emotivo, è comprensibile: hanno bisogno di un territorio ben definito, riconosciuto da tutti e protetto, dopo anni di persecuzione sistematica e violenta. Quello che la gente comune non capisce però è la reazione spropositata: quest’ultima offensiva è stata una risposta troppo forte agli attacchi missilistici di Hamas e dei gruppi terroristici islamici, foraggiati da governi ostili all’insediamento ebraico permanente e si chiede se questo giovi alla causa israeliana.
E’ morta gente inerme, indifesa, bambini innocenti e inconsapevoli del pericolo e dei rischi che correvano; sono state sterminate intere famiglie e questo è quello che vuole chi sistematicamente provoca queste tensioni allo scopo di ostacolare il processo di pace. Ci sono testimonianze che dimostrano lo scollamento di buona parte della popolazione di Gaza da Hamas, che però non ha la forza di ribellarsi pubblicamente e subisce perché ha paura delle ripercussioni sulle loro famiglie. Questi poveri cristi vivono una vita surreale, isolati e, per comunicare, commerciare , relazionarsi con il mondo esterno, possono utilizzare solo questi tunnel al confine con l’Egitto dei quali non si fidano nemmeno gli egiziani e da dove passano anche le armi.
Ci si chiede perché i dirigenti israeliani usano sempre una mano così pesante, scatenando proteste di tutti e creando non poche difficoltà alle diplomazie di tutto il mondo? I palestinesi non hanno i loro stessi diritti? Questo sarà un problema in più per il nuovo presidente degli Stati Uniti Barak Obama (di educazione islamica e quindi forse in grado di capire meglio la loro filosofia di vita e le loro istanze) sul quale si ripongono grandi speranze per una risoluzione diversa e definitiva del conflitto e un assetto stabile della regione, perennemente in guerra negli ultimi sessant’anni.

*opinionista