SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Riceviamo e pubblichiamo da don Gianni Croci, parroco della Santissima Annunziata, una lettera aperta di stringente attualità:

Sabato, le 23,45. Torno a casa dopo una giornata intensa. Da un cd una voce legge un romanzo – mi è sempre più difficile trovare il tempo da dedicare a qualche buon libro – s’intitola “Il cacciatore di aquiloni”. Il racconto mi prende. Una storia che mi tocca il cuore e che sembra cancellare un po’ lo stanchezza. Ad un certo punto mi è sembrato di vedere ‘l’inferno’.

Giovani, ma soprattutto ragazzini e ragazzine su un piazzale, sul marciapiede, qualcuno sulla strada. Molti hanno una bottiglia in mano. A distanza intravedo una pattuglia. Procedo lentamente, distrattamente. Ad un certo punto scorgo un cappellino, un cappellino che conosco. Il ragazzo sembra barcollare, sbraccia, viene verso la mia macchina, poi torna indietro. Anche lui ha in mano una bottiglia di birra. Quel ragazzo lo conosco.

Un tonfo al cuore. Mille pensieri. Fatico a crederci: non è possibile! È difficile entrare nella verità quando questa ferisce. L’auto sembra procedere da sola verso casa. Ad un tratto, quasi istintivamente, sento il bisogno di girare. Torno sulla stessa strada. E’ proprio lui! Sbraccia, non capisco se barcolla, mi auguro che scherza, va verso gli amici… ma quali amici?! Non è solo. Tanti, tantissimi sono nelle sue condizioni. E’ bello stare insieme! Ma è poi così necessario trasgredire, esagerare fino a farsi male? E il mio pensiero va alle mamme, ai papà, agli incidenti mortali

Mi chiedo di chi è la responsabilità di queste situazioni. Una pena enorme, una paura indescrivibile mi invade l’anima. Mi sembra di star male. Se prima ero quasi commosso per il racconto che ascoltavo, ora avvertivo dentro di me un misto di rabbia, che andava crescendo, e di compassione, che pure cercava di farsi spazio.

Una frase del Vangelo mi tornava in mente: “come pecore senza pastore” (Mt. 9,36). Mi sembrava di sentire anche le invettive di Dio contro i capi del popolo, attenti più a pascere se stessi che al bene degli altri, avidi a tal punto da posare gli occhi sulle persone non per amore, ma solo per quantificare possibili guadagni. Non so che fare. Un senso di impotenza mi opprime. Il cd scorre. Non sento più nulla. Arrivo a casa. È terribile l’inferno!

Prendo con me un foglio: mentre guidavo, con scrittura incerta, avevo appuntato una frase del romanzo che mi era piaciuta: “Esiste sempre un modo per tornare ad essere buoni”. Mi avevano insegnato che dall’inferno non si torna indietro. Ma siamo ancora nello spazio e nel tempo dove il cambiamento è sempre possibile. Provo a pregare. Non ce la faccio. Mi è difficile prendere sonno. Ho telefonato alla mamma: ho fatto bene? Ho sbagliato? Immagino la sua pena.

Quel ragazzo forse mi odierà silenziosamente. Eppure ho agito perché desidero solo il suo bene, che non gli accada nulla, a lui come a tutti gli altri. Quante lacrime ho visto! Quanto dolore! Non voglio piangere per un happy hour finito male. Quanti pensieri, quante immagini come spettri affollano la mia mente. Mi chiedo chi ha messo a credere alle nuove generazioni che con una bottiglia si può riempire un vuoto, che non è quello dello stomaco, ma quello interiore, esistenziale, di ricerca di senso. Credo che se questo vuoto non trova uno spazio di ascolto e di confronto può diventare un ‘vuoto a perdere’!

Ma che può fare un prete? Che può fare la Chiesa? Mi torna in mente una frase trovata su Facebook per pubblicizzare un nuovo cocktail capace di rimediare al fatto di essere stati battezzati: “rosso, piccolo e dannatamente forte che dopo averlo bevuto alla goccia deve far dire imprecazioni di tutti i tipi verso la chiesa!! ah ah ah”. Ho un senso di rifiuto di fronte a qualsiasi moralismo. Non mi piace la contrapposizione, né lo stile di chi sa solo accusare. Tra l’altro credo che il problema non sia il tale locale o solo delle leggi da far rispettare, quanto di aiutare la nuova generazione ad aprire gli occhi perché diventi un po’ più furba.

Non ci si può far ‘far fregare’ da un mondo che non si fa problema a divulgare una cultura della morte pur di trarre profitto. Mi chiedo anche perché contro Dio? Perché contro la Chiesa? Eppure non credo di aver insegnato a qualche ragazzo, a qualche ragazza qualcosa di male. Già negli anni ‘60 si parlava della morte di Dio, oggi molti pensano che ormai è fuori dagli affari di questo mondo. Forse non c’incontreremo mai su questo terreno, ma almeno sull’uomo.

Quando guardo gli occhi pieni di luce dei bimbi, quando osservo la loro voglia di vita penso che non è giusto inserirli nel corpo di una società ormai pieno di metastasi. Non vorrei essere catastrofico, però a volte questo mondo, su cui abbiamo incentrato tutta la nostra attenzione, dopo aver distolto lo sguardo da Dio e dall’uomo, mi sembra come una grande discarica dove ciò che è più piccolo brucia per primo. Ma credo ai miracoli, non solo per quel po’ di fede che accompagna i miei passi, ma anche perché ho imparato a scommettere sulla forza della vita.

Esiste sempre, al di là di ogni fallimento, “un modo per tornare ad essere buoni”, come scrive Kaled Hosseini nel suo romanzo “Il cacciatore di Aquiloni” (ed . Piemme). Ed allora si deve fare qualcosa! Un amico prete mi ripete spesso che i generali di Hitler non sono meno colpevoli di lui. Avevano visto tutto ed hanno taciuto. Ormai è notte fonda. Sento il sonno prendere il sopravvento e quasi avverto un senso di sollievo. Mi addormento con un pensiero: devo fare qualcosa. Non sarò solo. A tanta gente l’inferno non piace. Non si può credere solo nel male! Certo il mondo ti crocifigge se non segui la sua logica. E’ capace anche di calunnie, di inventare menzogne. L’ha già fatto con altri, ma l’uso della violenza nasconde sempre una grande debolezza, un’immensa paura. E’ anche vero che non abbiamo mezzi: solo la forza della parola! Ma talvolta è sufficiente per muovere i cuori, per svegliare le menti.

Occorre urlare a tutti che non ci si può rassegnare di fronte a questa cultura della morte! E forse non basta urlare. Occorre incontrarsi, tornare a pensare, studiare insieme percorsi alternativi perché i giovani davvero godano la vita. E’ possibile, con tutte le agenzie educative, con quanti davvero desiderano il bene di chi ha voglia di crescere, individuare le strade della bellezza, della giustizia, della verità, della libertà. Almeno di noi, non si dica che siamo stati solo a guardare lo spettacolo della morte. Le nuove generazioni hanno diritto alla vita e perché ciò avvenga bisogna volare in alto, allargare gli orizzonti, affrontare le sfide.

Scrive Olivier Clement: “Se la storia non è nutrita di eternità, diventa una zoologia”. In questi giorni forse anche noi ci siamo entusiasmati per Barak Obama, un uomo, il cui padre fino a sessanta anni fa non sarebbe stato servito in un ristorante locale per il colore della propria pelle, che diventa presidente degli Stati Uniti d’America. Vorrei citare la conclusione del suo discorso di insediamento alla Casa Bianca: “Nel momento in cui l’esito della nostra rivoluzione era in dubbio come non mai, il padre della nostra nazione ordinò che si leggessero queste parole al popolo: “Che si dica al futuro del mondo… che nel profondo dell’inverno, quando possono sopravvivere solo la speranza e la virtù… Che la città e la campagna, allarmate da un pericolo comune, si sono unite per affrontarlo“.

Forse è arrivato davvero il tempo di reagire, di osare, di andare oltre, di scommettere sulle cose grandi. C’è qualcosa di più interessante che vale la pena proporre ed i giovani lo capiranno. Ne sono certo! Ed allora scompariranno i muri imbrattati di pipì ed i marciapiedi pieni di bottiglie rotte perché non si avvertirà più il vuoto né si avrà la tentazione di riempirlo con alcool o robacce varie! Un piccolo assaggio di vera felicità può bastare per dare una svolta alla propria storia!