SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Andiamo a vedere queste Luci delle Centrale Elettrica, sì, ma più che altro mi attrae il nome di quella vecchia pelle punk di Giorgio Canali. Il Concordia, comunque, è pieno, come si suol dire, come un uovo, come non l’ho mai visto nemmeno il giorno dell’inaugurazione, perché tanti ragazzi sono costretti a sedere anche nelle scalinate divisorie, in platea come in galleria.

Chiedo ad una amica – una studentessa che ha una decina di anni meno di me, ed è a San Benedetto di ritorno da un Erasmus in Spagna: anche questo, capisco, mi fa sentire invecchiato, non solo i tanti diciottenni che noto attorno a me – che dice di conoscere Le Luci della Centrale Elettrica, che musica fanno. E lei: da tagliarsi le vene, cantautore tipo Moltheni. Da tagliarsi le vene, naturalmente, è un complimento. E penso al vecchio Moltheni, che sentivo una decina d’anni fa. Ah, il tempo…
Sul palco, dopo l’esibizione del gruppo sambenedettese Frank and the Family (meno blues e più intimisti rispetto ai loro esordi) ecco una sedia, quattro o cinque chitarre tra acustiche ed elettriche. Di Vasco Brondi, cantautore ferrarese di 24 anni, so soltanto che ha vinto il Premio Tenco e il Premio Mei. Non ho neanche letto, non ne ho avuto tempo, le recensioni pur entusiaste, quasi tutte, che su di lui sono state scritte dai principali siti musicali italiani.

Eccolo qua, invece, un colpo al cuore: “perché non capisci gli incubi dei pesci rossi?”, “passeresti ancora un’ora a pettinarmi le vene mentre mi parli d’amore?”, “lavarsi i denti con le antenne della televisione durante la pubblicità”, “con le nostre discussioni serie si arricchiscono soltanto le compagnie telefoniche”, “siamo l’esercito del Sert” (anche un piccolo gioco fonetico rispetto all’esercito del surf di cui gioiosamente si cantava nei Sixties), “portami a bere alle pozzanghere”, “con me non devi essere niente”.

Passi la sua voce tremendamente arrabbiata, i suoi “occhi di criptonite” (scrivo mentre ascolto il suo album di esordio, “Canzoni da spiaggia deturpata“, e catturo al volo i versi che mi soccorrono), e pure la chitarra sua e di Canali che lo accompagna e l’ha prodotto (per qualcuno, anzi, rovinando la ruvida produzione del suo demo del 2007). “Trasformiamo questa città in un’altra cazzo di città”: il mood è il solito, antico, ovvero la rivolta rispetto ad una vita di provincia sempre uguale a se stessa, monotona (e infatti Brondi è andato a vivere a Milano, e forse poi tornerà in provincia, quando diventerà grande). Ma sono le parole, i versi, le liriche, chiamatele come volete, con cui Brondi fa centro. A volte forse anche manieristicamente, ma come è possibile non essero in pieno trip postmoderno? Ecco, ascoltare ossessivamente “vieni con me a correre sulla circonvallazione che ho voglia di stordirmi un po’ coi fumi dello smog”, “senti i tuoni dagli Stati Uniti bombardare l’Iran”, “e ridere a dirotto distributori di sigarette fosforescenti sulle sedie elettriche le lacrime per inquinare”, “cani avvelenati”, “carratrezzi con i cuori ammaccati”, “quando strattonavamo il mare, dove andavamo a farci male”.

Poesia, si dirà, urlata finché la voce tiene, finché la chitarra ha voglia di accompagnarla. Si sprecano gli accostamenti: ovviamente Rino Gaetano, per il piacere di accostamenti nonsense, e anche per il modo di decantarle. Ma anche, un po’, i Massimo Volume del sambenedettese Emidio Clementi (ecco un’altra perla: “E proteggimi dai lacrimogeni e dalle canzoni inutili, e progeggimi le sopracciglia dai manganelli”), e, perché no, quei CCCP che, grida Brondi, “non ci sono più”, sostituiti da una gigantesca insegna Coop. Il tutto vissuto e raccontato come un beat (che significa beato, ma anche battuto) capitato per errore “in questi cazzo di anni zero”.

Bravo, bravo Brondi (“sarà la prima volta che non andrò a votare, sarà la prima volta che non andrò a puttane”). Che potrà sicuramente migliorare, ma che ha avuto la bravura e, certo, anche la fortuna, di centrare il centro del sentimento attuale. Senza l’ironia di Gaetano, perché ridere diventa sempre più difficile, ma con una disperazione senza fine (“E tu avevi i vestiti adatti per le tue guerre stellari”, “e un po’ di carta stagnola per addobbare a festa questa stanza di merda”). E bravo anche a chi l’ha portato a San Benedetto, per un concerto come non se ne vedeva da anni da queste parti, e che potrebbe essere preludio ad un ritorno di un certo tipo di musica nella nostra città in maniera stabile (ci riferiamo agli organizzatori dell’associazione “Occhioperorecchio“, supportati dall’amministrazione comunale).

Tanto lontana, l’urgenza comunicativa del giovane Brondi, dalla passerella invece di Lucio Dalla, a San Benedetto lo scorso 27 dicembre. Certo, si dirà che Dalla non ha più nulla da dimostrare e che, oltretutto, in un auditorium comunale comunque totalmente occupato, giocava in un campo che non era proprio il suo, ovvero la scrittura e non la musica. Ma, dopo tutto, la presentazione del libro con cd e dvd Gli occhi di Lucio è sembrata, più che altro, un favore al suo giovane produttore, il ventottenne Marco Alemanno, che in questo modo ottiene da uno dei grandi della musica italiana la giusta – crediamo – considerazione per le sue capacità. Dalla, in qualche modo, si lascia autocelebrare, con brio e allegria, ma senza mordente (lui stesso ha dichiarato, ai giornalisti che lo intervistavano, che ancora non aveva letto il libro, assemblato dal suo collaboratore). Un modo apprezzabile per far spazio ai giovani ma, sinceramente, preferiamo il grido viscerale di Vasco Brondi (“attenti ai gatti con l’aids”)