SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Non c’è pace per i familiari di Francesco Annibali, come per i familiari di Luigi Luchetti e Ounis Gasmi. Il naufragio del motopeschereccio Rita Evelin all’alba del 26 ottobre 2006, nel quale morirono i tre marinai e si salvò miracolosamente il capitano Nicola Guidi, rimane ancora un mistero. La Procura di Fermo continua la sua inchiesta per capire le cause della tragedia, avvenuta in un giorno di mare calmo.

Intanto martedì 23 dicembre i familiari di Francesco Annibali, con tanto di cartelloni, hanno messo in atto una protesta presso il municipio di San Benedetto. Non è una data casuale, si tratta dell’anniversario della tragedia del Rodi (anno 1970) e da quest’anno per volere dell’amministrazione comunale in questa data viene organizzata una commemorazione di tutte le vittime del mare nella storia sambenedettese.
I familiari di Annibali si sono recati in Comune per sensibilizzare le istituzioni nella loro ricerca di verità su ciò che successe al peschereccio, in quella mattina di ottobre. Hanno chiesto a gran voce che l’amministrazione comunale si adoperasse per fargli ottenere un incontro con il nuovo procuratore capo di Fermo, Andrea Vardaro, subentrato all’inizio di dicembre al dottor Piero Baschieri.

I familiari di Annibali temono che l’inchiesta si areni di fronte alla mancanza della chiave di tutto, cioè del relitto. Mai recuperato nonostante farlo fosse stato nelle intenzioni iniziali delle autorità. Concludono i parenti di Francesco: «Non sappiamo più cosa pensare, la verità è rimasta in fondo al mare insieme alla barca, perchè tirando fuori il Rita Evelin si potrebbero sicuramente avere delle risposte. Il nostro timore è che questa faccenda si concluderà in una bolla di sapone, che i responsabili non saranno trovati, e che a pagare per tutti sia la povera gente, come da sempre accade in Italia».

Il procuratore capo di Fermo Andrea Vardaro, raggiunto al telefono dal vicesindaco di San Benedetto del Tronto, Antimo Di Francesco, si è reso disponibile ad incontrare i familiari della vittima, ad ascoltarli e ad aprire un dialogo con loro: «Il nome di Francesco non deve essere infangato», ribadiscono la sorella, la madre e la cugina di Annibali.