SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si fa presto a dare la colpa agli intoppi burocratici. Sulla vicenda della riqualificazione del Ballarin voluta dal Comune a spese di terzi, e che ora appare sempre più lontana, si può parlare solo di grosso, marchiano, errore. In buona fede, dettato dalla volontà di far bene, ma pur sempre errore, di quella specie di errore che si può compiere anche quando si hanno buone intenzioni, che si sa quale nefasta strada lastricano, secondo il detto.
Errore nel fondare l’accordo con la Fondazione solo sul Ballarin, quando l’ente ascolano aveva chiesto un’area in generale e non il vecchio stadio. Errore nel non aver fatto un progetto di massima, fornito un’indicazione, insomma affermato cosa costruire in questa città, per migliorarla e abbellirla. Errore – il più grande, imbarazzante – nell’acquistare per centinaia di migliaia di euro (pubblici) dal Demanio un terreno senza la possibilità di poterlo poi rivendere. Errore, infatti, nel non averlo appreso da un atto notarile breve e leggibile nel contenuto, non certo da una sentenza ponderosa o da un codice ermetico. Errore nel credere di poter aggirare questo vincolo prima colpevolmente ignorato. Errore nel credere di risolvere tutto con un bando e una arringa legale mascherata da delibera.

Una catena di errori, una filiazione di errori, una gran confusione. L’uscita di scena della Fondazione, in realtà, non la crediamo motivata dallo scadere fatidico del 30 ottobre. In realtà l’ente presieduto da Marini Marini ha scelto di tirarsi fuori dai bassi fondali in cui la vicenda si è incagliata fin da quando si è compreso il vincolo dell’inalienabilità (e cioè inaccettabilmente tardi).
La vicenda è stata gestita in modo approssimativo e i cittadini, almeno quelli che si interessano della cosa pubblica, non possono che osservare spiazzati e demoralizzati.
La Fossa dei Leoni resta lì, cadente e grigia, guardando con curiosità gli umani che si affannano intorno alla sua morte, che per ora sembra ancora lontana, per sua grande soddisfazione.