SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Una delle pagine nere della storia di San Benedetto, una delle pagine nere della storia d’Italia. Il 10 giugno 1981 a San Benedetto le Brigate Rosse sequestrarono Roberto Peci, fratello del brigatista Patrizio, il primo pentito del terrorismo italiano. La vicenda del sequestro e del successivo omocidio è stata ricostruita da Luigi Maria Perotti in un documentario che si intitola “L’infame e suo fratello“, prodotto dalla Stamen Film, società sambenedettese di Alessandro Perozzi, Mario Petrocchi e dello stesso Luigi Maria. Verrà trasmesso mercoledì 23 luglio alle 23,30 su Rai Due, all’interno della trasmissione “La storia siamo noi“.
Per la prima volta, nel documentario, la vicenda verrà raccontata da Ida Peci, sorella di Patrizio e Roberto Peci, e Roberta Peci, figlia di quest’ultimo, nata quattro mesi dopo la morte del padre. Il sequestro e l’uccisione di Roberto Peci fu voluta da Giovanni Senzani, uno dei leader brigatisti, per stroncare il nascente fenomeno del pentitismo. Erano giorni molto convulsi: per 54 giorni (tanto durò il sequestro) la famiglia Peci tentò di sensibilizzare l’opinione pubblica, ma in quel periodo tante furono le vicende che preoccuparono gli italiani: dall’attentato al Papa, allo scandalo P2, dal dramma del piccolo Alfredino Rampi a Vermicino, fino ad altri sequestri e attentati dei brigatisti.
Nel corso del documentario sarà possibile ascoltare le dichiarazioni dei protagonisti di quella stagione, o di semplici amici di Patrizio e Roberto Peci.
Dice ad esempio Nazzareno Torquati, amico di entrambi: «Noi abbiamo fatto un antifascismo fisico che si fa picchiando e limitando lo spazio ai fascisti. Già allora iniziò una selezione tra il compagno che mena e il compagno che invece sta in ufficio. Patrizio era uno che menava. Mi ricordo che in occasione di una rissa diede una bottigliata a un fascista che già era a terra, tremenda. Noi pensavamo che fosse morto questo ragazzo. Roberto, che io reputavo, e reputo ancora, dopo tanti anni, più intelligente del fratello, non aveva di queste prerogative. Subiva l’influenza del fratello per cui fare a botte era una cosa che doveva fare ma per lui era penosa».
Patrizio entrò poi nelle Brigate Rosse; Ida Peci racconta: «Mi telefonò mia madre dicendo che aveva i carabinieri a casa, che aveva una perquisizione. E mio fratello era latitante. E da quel momento sono iniziati i guai anche per Roberto perché praticamente lo continuavano a chiamare, gli continuavano a chiedere se sapeva qualcosa di Patrizio e cose varie, ma lui non sapeva assolutamente niente».
Roberto Peci, fermato dai Carabinieri e poi rilasciato, si spaventa e chiude con la politica militante: comincia a lavorare come antennista e si sposa con Antonietta. Suo fratello Patrizio, invece, diventa un militante delle Brigate Rosse a tutti gli effetti. Poi, il 16 marzo 1978, a Roma, le BR rapiscono Aldo Moro. Su tutti i giornali, appare il nome e la fotografia di Patrizio Peci: è uno dei venti brigatisti più ricercati d’Italia. In realtà, non partecipa a nessuna fase del sequestro. Ma ormai il suo destino è segnato. Il 19 febbraio 1980, a Torino, i Carabinieri del Generale Dalla Chiesa arrestano Patrizio Peci.

Ida Peci: «Quando noi abbiamo saputo dell’arresto è stata una liberazione perché era finita. Ci dispiaceva perché era finita in quel modo, però era finita». In carcere a Cuneo, Peci sceglie di pentirsi, cambiando la storia del brigatismo italiano.
Anche se Patrizio non pensava a ritorsioni sui familiari («Le Br non sono né mafia né camorra»), a San Benedetto le cose cambiano. Umberto D’Anna, titolare del negozio dove lavorava Roberto, ricorda: «Quella mattina qualcuno ha telefonato chiedendo di un impianto di antenna, e chiedevano quindi l’intervento di Roberto. Queste persone non sono entrate nel negozio. Lui gli è andato incontro ed è andato via con loro».
Il sequestro Peci è un nuovo, clamoroso, salto di qualità. Per la prima volta, infatti, le BR filmano tutte le fasi del cosiddetto “processo proletario” a cui viene sottoposto l’ostaggio.

Parla così uno dei fondatori delle Br, Alberto Franceschini: «Certamente ci sono degli aspetti nel sequestro di Roberto Peci che sono assolutamente strani da tutti i punti di vista. E il dubbio è che o hanno commesso un errore madornale perchè questo sequestro e le modalità con cui hanno poi organizzato la propaganda hanno in realtà distrutto l’immagine delle Br e hanno favorito nella gente l’idea che fossimo dei pazzi sanguinari. Oppure dietro c’e un calcolo più raffinato».
Roberto venne poi ucciso. Patrizio Peci è stato condannato a 7 anni di reclusione, di cui 4 scontati. Oggi vive in una località segreta con sua moglie. Hanno avuto un figlio, che si chiama Roberto.
Mercoledì su Rai Due, appuntamento con uno spaccato tragico di storia sambenedettese ed italiana.