Da Riviera Oggi n. 723

ACQUAVIVA PICENA – Il luogo francescano più antico di tutte le Marche – nel 1228, Acquaviva era citata come sede dei frati devoti a San Francesco – distrutto per essere “risanato e restaurato”. Peccato che il risanamento consista nella trasformazione del convento in una struttura ricettiva, non in un museo o una pinacoteca.
Immerso nel verde delle colline acquavivane a poca distanza dal centro storico, la struttura acquistata dalla ditta Audax Srl è attualmente in fase di restauro: sventrato il convento, puliti ed eliminati gli “inutili” materiali secolari, ormai non resta che lo scheletro esterno.

L’edificio della prima metà del XIII secolo costituisce insieme alla adiacente chiesa di San Francesco, ristrutturata e restituita al culto nel 1989, un unico complesso architettonico: le tre possenti arcate che nel convento sorreggono i quattro lati del chiostro uniscono infatti la dimora conventuale alla chiesa.

Un convento e un chiostro millenario che costituiscono una testimonianza degli illustri sostenitori della comunità francescana: dall’imperatore Federico II che stanziò le prime somme per la costruzione, al Papa grottammarese Sisto V, fino a Papa Pio VIII che firma nel 1820 il decreto di ripristino e l’inizio dei lavori di ristrutturazione del complesso medievale. Luogo di contemplazione prima, luogo artistico oggi, e domani luogo di dimora per turisti ospiti della futura struttura ricettiva, forse un centro benessere.

In attesa degli eventi prodigiosi, campane che suonano senza essere attivate, luci che si accendono nel convento deserto, lampade a olio accese che non consumano e hanno poteri taumaturgici, che già nel lontano 1653 evitarono un tentativo di soppressione del convento, il Comune di Acquaviva ha cercato di vincolare la struttura attraverso il Piano Regolatore, prevedendo un restauro e un risanamento conservativo.

La cosa che sorprende è che nonostante risalga agli inizi del 1200 sembra non rientrare tra i beni soggetti a vincolo dalla Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali delle Marche.

Va bene il restauro, ma dove va a finire il rispetto della natura del luogo? Come è possibile che un convento possa conservare le stesse caratteristiche architettoniche se diventa un centro benessere o un affittacamere?
Lasciare un’arcata o una bifora che esternamente creano l’impressione di un lavoro di restauro eseguito nel rispetto dell’opera, non è lo stesso che conservare e mettere in sicurezza un patrimonio culturale che dovrebbe essere fruibile a tutti, non solo ai turisti della struttura ricettiva, e appartenere alla comunità.

Possibile che si debba assistere impassibili e rassegnati a questo ulteriore scempio perpetrato ai danni del nostro patrimonio culturale? Possiamo perdere senza battere ciglio una parte della nostra storia?