dal settimanale Riviera Oggi numero 718 del 10 marzo 2008

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Se il Comune darà il suo assenso definitivo e firmerà l’atto di donazione modale alla Fondazione Carisap partirà in grande stile l’operazione Ballarin. Un esperimento urbanistico, architettonico e politico senza precedenti, almeno in Riviera.
Una sfida con il futuro. Come in ogni sfida, bisogna mettere in preventivo la sconfitta oppure una vittoria meno netta rispetto alle aspettative. Ma il significato culturale del “qualcosa” che sostituirà il Ballarin è grande, in questo ha ragione il presidente della Fondazione Vincenzo Marini Marini.
«Migliorare l’ambiente urbano per lasciare un regalo ai posteri», dice, da novello Mecenate rinascimentale dell’arte sociale del XXI secolo. Un’arte laica rispetto al florilegio di Chiese e immagini sacre del Rinascimento, una sublimazione dell’arte urbana che prende il nome, i vizi e le virtù della moderna architettura.
Un patrimonio che nasce pubblico, quello del Ballarin, diventa privato con la donazione alla Fondazione e torna pubblico nell’uso che ne sarà fatto.
Il Ballarin come una tela da dare in mano a un grande pittore, dicendogli: «Tieni, ora immagina e dipingi». Non è un’esagerazione, la Fondazione darà veramente carta bianca al grande architetto internazionale che realizzerà l’opera della nuova pubblica utilità al posto dello stadio dei vecchi sogni. San Benedetto cavia di fantasie straniere.
Un’esterofilia dichiarata quella della Fondazione, che esclude per principio gli architetti italiani, quindi anche il sambenedettese Enzo Eusebi.
Ci si affida a scatola chiusa alla mano di un architetto. Messo in chiaro che dovrà fare qualcosa di uso pubblico, cosa e come farlo lo decide lui. Novità epocale, perché di progetto non se ne parla, e la Fondazione ignora e vuole continuare a ignorare cosa sorgerà al posto del Ballarin. L’importante è il curriculum dell’architetto, l’impulso turistico che darà al Piceno, e l’apparente ossimoro dell’innovazione insieme al rispetto della tradizione.
Si ribalta il modo tradizionale della committenza. Vale anche per il Comune, che delega alla Fondazione un progetto sul quale non si è mai impegnato seriamente.
Nuovo è anche questo disimpegno del settore pubblico dalla programmazione del territorio. La costante di questa vicenda è il delegare ad altri. Il Comune delega alla Fondazione perché non ha i soldi per modificare una situazione; la Fondazione investe il suo denaro e delega alla grande firma per regalare la “grandeur” al proprio territorio.
Ma il territorio è pronto per riceverla? E’ pronto per questo nuovo Rinascimento? E soprattutto, si può dare una pillola di Rinascimento senza che il contesto dia segnali concreti di accompagnare questo impulso alla rinascita?
Il vecchio Ballarin fra mille rimpianti guarda al suo futuro magnifico e poi guarda al presente stagnante di quello che lo circonda. Non vuole diventare cattedrale nel deserto, o nel porto, o fra le palazzine, e per questo si affida ai creatori del suo futuro con la fiducia tipica della nostra gente. Speriamo che sarà ricompensata.