SAN BENEDETTO DEL TRONTO – E’ durata quattro ore l’autopsia sul cadavere semicarbonizzato di Petrit Keci, l’albanese 30 enne trovato morto venerdì scorso nelle campagne di Acquaviva Picena.
Gli esami autoptici e tossicologici sono stati svolti presso l’ospedale civile “Madonna del Soccorso” dal medico legale Claudio Cacaci, con la collaborazione del dottor Mariano Cingolani e del tossicologo Rino Froldi.
Non trapela nulla sull’esito degli esami e sullo svolgimento delle indagini. Gli assassini di Keci potrebbero essere componenti della mala albanese, o al limite esponenti di gruppi criminali di altre nazionalità. Sicuramente però si è trattato di un regolamento di conti in stile mafioso.
Un omicidio, quello del 30 enne balcanico, culminato con un’atroce serie di gesti simili a un rituale ben codificato. Il denudamento del corpo, l’infierire sul cadavere per sfregio, il tentativo parzialmente riuscito di carbonizzare i resti dell’atto criminale.

Sono gesti tipici del linguaggio universale delle mafie, indizi di una volontà feroce di annientare il nemico o l’affiliato diventato scomodo cancellandone le sembianze, le fattezze, bruciando l’offesa con il fuoco.
Keci potrebbe aver sgarrato in maniera pesante i codici criminali nell’ambito in cui si muoveva (sfruttamento della prostituzione? Traffico di droga? Rapine magari in altre zone d’Italia? Ancora non sono noti gli elementi precisi per restringere il campo delle ipotesi) ed essere stato punito per questo.
Chi lo ha portato (da morto?) nella stradina sterrata alle porte di Acquaviva Picena conosceva la morfologia del luogo, la natura isolata ma non troppo di quella contrada di campagna. Il giro criminale che ha fatto fuori Keci potrebbe perciò avere radici nel territorio del piceno.
Gli inquirenti al momento vogliono evitare di dare vantaggi agli autori del delitto o alla rete di contatti di questa gente sul territorio.
Le indagini coordinate dal sostituto procuratore di Ascoli Carmine Pirozzoli svolte dal Comando provinciale dei Carabinieri non trascurano le testimonianze dei contadini che lavorano nella zona del ritrovamento. Si cerca di portare alla luce qualche particolare, qualche ricordo o qualche impressione che possa rivestire importanza investigativa. Auto sospette, facce in cerca di qualcosa, rumori sentiti nella notte.
Portare alla luce, questa è la frase chiave dell’indagine. Un cadavere abbandonato nel buio fitto della campagna, un accanimento che richiama il buio della coscienza umana, le tenebre che sembrano avvolgere persone senza identità in un paese straniero e i loro legami occulti con una mafiosità arcaica che ancora conosciamo ben poco.