SAN BENEDETTO DEL TRONTO – La condanna è ferma e risoluta. Perché quei tifosi, di ritorno dalla trasferta di Potenza, «hanno detto di tutto al sottoscritto e ai mie fratelli: bastardi, infami, pidocchiosi. E se permettete non accettiamo di essere alla mercé di questa gente».
Eppure Gianni Tormenti tende una mano agli ultras. «Non porto rancore a nessuno, anzi: sono disposto a parlare. Anche davanti alla stampa, non ho nulla da nascondere. Confrontiamoci, ma da persone civili. Vorrei capire i motivi che stanno alla base del loro comportamento. Se ho sbagliato sono pronto a chiedere scusa, ma potrebbe essere vero anche il contrario e cioè che siano loro a doversi fare perdonare qualcosa».
Il presidente della Samb è tornato sull’episodio avvenuto in un’area di servizio dell’A14, in zona San Severo, nel tardo pomeriggio di mercoledì. Premessa: «Non ci sto a parlare di rottura con la tifoseria sambenedettese. Credo sia riduttivo. Il pubblico di San Benedetto è meraviglioso e merita grandi risultati. Si tratta solo di poche persone, mosse non so da chi. Sono le stesse persone, qualcuna l’ho riconosciuta, che domenica scorsa mi hanno insultato anche quando sono sceso in campo per accertarmi delle condizioni del tifosi caduto dalla Curva (Emidio Di Luigi, ndr). Hanno pensato di addossarmi la colpa dell’episodio, incredibile. Questi individui non rappresentano la tifoseria rossoblu».
Poi il racconto: «Ci siamo fermati per fare rifornimento. Mio fratello Marcello ha visto che vicino ai bagni c’era qualche tifoso di ritorno da Potenza. Ha voluto andare loro incontro per un chiarimento, per chiedergli come mai avessero contestato la squadra durante la partita, nonostante il risultato positivo. Io sono rimasto in macchina, poi vedendo che alcune persone volevano prenderlo a schiaffi, sono intervenuto cercando di sedare la rissa. Nel contempo se la sono presa anche con me, dicendomi che non sarebbe finita lì».
Chiediamo: dopo quest’episodio avete fatto partire qualche denuncia?
«Non ho informato le autorità e non ho nessuna intenzione di farlo. Prima ancora che un presidente sono un uomo».
Ha detto: “poche persone, mosse non so da chi”. Ritiene davvero che alle loro spalle ci sia qualcuno che voglia il male della Samb?
«Non ho in mente nessuno e no so se ci sia qualcuno che li muova. Dico solo che se la famiglia Tormenti non va bene alla maggioranza dei sambenedettesi ce ne possiamo andare. Non è un ricatto, ma un discorso di civiltà. Quello che non capisco è perché venti persone devono fare 800 chilometri per vedere la Samb – la cosa, credetemi, mi aveva fatto tanto piacere – solo per il gusto di insultare la squadra e non esultare nemmeno al momento del gol. Se non tifano facciano pure, ognuno è libero di fare quello che vogliono. Ma mi spiegassero il perché».
Crede che alla base del loro comportamento ci siano le sue lamentele nell’ultimo mese per i petardi e le conseguenti multe comminate alla società?
«Faccio semplicemente un’analisi dei fatti. Ammetto che questi ragazzi hanno la Samb nel sangue, ma che senso ha esplodere delle bombe? Se si sbaglia ci si deve correggere. Ritengo che nessun presidente di una squadra di calcio può accettare di prendere delle multe così. Accetto le critiche perché la classifica è quella che è, ma la violenza non porta da nessuna parte. E sono sempre tenuto a condannare determinati atti. Se qualcuno se l’è presa perché ho detto determinate cose non ci posso fare ninte: lo sport è una cosa, la violenza un’altra».
Prima della partita contro la Juve Stabia, in novembre, avevate avuto un incontro con i ragazzi della curva. Come era andata?
«Era stato un incontro tra persone tranquille, avevamo detto loro che la squadra aveva bisogno del calore della curva e, soprattutto, avevamo avuto rassicurazioni in merito. Per tutta risposta la settimana dopo ci hanno fatto prendere 5 mila euro di multa. I fatti purtroppo sono questi».
Qualcuno vi accusa di avere speso poco per allestire l’attuale Samb.
«Vorrei ripeterlo una volta per tutte: la famiglia Tormenti ha comprato questa società due anni fa, parlando di un programma dai 3 ai 5 anni. Abbiamo sempre detto che avremmo salvaguardato soprattutto il bilancio. Questa tiritera che non investiamo non mi tocca: non faccio i conti a casa degli altri, i tifosi devono fare altrettanto. Se questo sparuto gruppo di tifosi ha qualcuno più bravo di noi disposto a comprare la Samb la famiglia Tormenti è pronta a farsi da parte».
Pensa che la maggioranza della tifoseria voglia questo?
«Secondo me no. Porteremo avanti il nostro progetto, ma se questi ultras seguiteranno a insultarci ed hanno qualcuno disposto a “cacciare” più soldi di noi, che ce lo porti. Vorrà dire che mi godrò la partita con meno sigarette, più tranquillità e qualche soldo di più in tasca. Però che si sbrighino. Me lo facciano sapere. La Samb è un bene della città, ma è di mia proprietà. E a casa mia comando io».
Spesso nel calcio si parla di rapporti tra le curve e le società di calcio. Voi avete mai dato loro dei soldi?
«No. I tifosi di San Benedetto non ci hanno chiesto niente».
Cosa si aspetta adesso? Cosa chiede alla tifoseria rossoblu?
«Sono convinto che ultras non sia sinonimo di delinquente. Tra di loro ci sono persone intelligenti che vivono per la squadra del cuore. Mi auguro che ci aiutino a identificare quelli che invece vogliono il male della Samb. Non devono permettergli di mischiarsi a loro. L’unico modo è isolarli. Vogliono sparare una bomba? Lo facciano pure, ma da una parte, in un angolino, dove possono essere visti dal resto del pubblico».