ACQUAVIVA PICENA – Usanza (tipica dell’antica civiltà rurale ed artigiana), che per diverse generazioni ha caratterizzato il nostro territorio, quella delle fochere è una tradizione che, nonostante la modernità, continua ancora a sopravvivere in parecchi centri dell’entroterra.
Fra essi Acquaviva Picena dove l’associazione Pro Chiesa San Francesco, presieduta da Delio Camela, in collaborazione con la locale Amministrazione Comunale, per festeggiare al meglio il patrono del paese, ha organizzato, per mercoledì 5 dicembre, alle ore 21:30, la “Fochera di San Niccolò”, che si terrà nella piazza antistante la chiesa parrocchiale.
Dopo il sacro, spazio al profano: ai presenti saranno offerti fava n’greccia, punch, vin brulé e dolci vari. Interverrà anche Monsignor Gervasio Gestori, vescovo della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto Marche. Novità della ventiduesima edizione, la partecipazione dei Cantori di Sant’Antonio, che allieteranno i convenuti con il loro repertorio tradizionale.
Espressione autentica della religiosità popolare e metafora della preghiera che dalla terra s’eleva al cielo, le radici di quest’usanza (quella delle “fochere”) vanno ricercate in un periodo, non ben precisato, di gran lunga anteriore alla venuta di Gesù, quando i falò erano indirizzati agli dèi pagani “falsi e bugiardi”.
Un tempo, interi gruppi di persone si mobilitavano letteralmente per partecipare alle “fochere”, le quali venivano approntate in occasione di speciali festività liturgiche, quali San Nicola (6 dicembre), l’Immacolata Concezione (8 dicembre), la Madonna di Loreto (10 dicembre), Santa Lucia (13 dicembre), l’Epifania (6 gennaio), Sant’Antonio abate (17 gennaio), la Candelora (2 febbraio) e San Biagio (3 febbraio).
Negli spiazzi dei rioni paesani e delle campagne circostanti si preparava, la sera antecedente la ricorrenza, una catasta di legna (generalmente di viti e ulivi) e ginestre. In basso, s’accendeva il fuoco, con paglia e fiammiferi. Pian piano il mucchio si consumava, trasformandosi in brace. I bui dossi collinari e le piazzette dei borghi s’illuminavano della luce dei gran falò e si gremivano di uomini e donne riuniti in preghiera (che approfittavano dell’occasione, per trovare ristoro dai rigori invernali), nonché di bambini. Questi ultimi, estintesi le fiamme, davano libero sfogo alla loro sana irruenza, saltellando sopra la cenere, disegnando delle croci.