ROMA – Graziella Campagna era una ragazza di diciassette anni che il 12 dicembre 1985 fu barbaramente uccisa per essere stata l’involontaria scopritrice di un segreto mafioso. Lavorava in una tintoria di Saponara, piccolo centro siciliano in provincia di Messina e un giorno, per caso, trovò nella tasca di una giacca portata a lavare un documento il cui contenuto svelava la vera identità di due persone – Gerlando Alberti junior e Giovanni Sutera – che si presentavano con altri nomi e che erano invece due latitanti ricercati per associazione mafiosa e narcotraffico internazionale, da tre anni nascosti nei pressi di Villafranca, altro paese dell’area messinese.

Cosa Nostra, venuta a conoscenza dell’accaduto, decise di eliminare la ragazza, uccidendola barbaramente ed occultandone il cadavere. Principale accusato dell’omicidio (e condannato all’ergastolo in primo grado) fu Gerlando Alberti, nipote dell’omonimo boss palermitano.

La storia, più volte ripresa in documentari televisivi e servizi giornalistici, è approdata finalmente in televisione grazie a Rai Fiction, attraverso il film per la tv “La vita rubata”, interpretato da Beppe Fiorello e Larissa Volpetesta. Sarebbe dovuto andare in programmazione su Rai 1 martedì 27 novembre, quando una lettera del Ministro di Grazia e Giustizia Clemente Mastella al direttore generale della Rai ha fatto sospendere la messa in onda del programma.

La direzione generale – dice la nota ufficiale della Rai – ha accolto la richiesta del presidente della corte di appello di Messina che, attraverso il ministro di Giustizia, ha segnalato come la messa in onda della fiction sull’assassinio di Graziella Campagna “avrebbe potuto turbare la serenità dei giudici della Corte d’assise di appello che dal 13 dicembre si riuniranno in udienza proprio per il processo che riguarda l’assassinio di Graziella Campagna”.

Ma può un giudice in possesso di tutti gli elementi processuali di un delitto accaduto 22 anni addietro, subire condizionamenti da una fiction televisiva? E se così fosse, che credibilità potrebbe avere una magistratura che opera sulla scia di influenze emotive dettate da programmi visti in televisione, piuttosto che affidarsi alle solide certezze della legge? Di certo da questa discutibile vicenda tipica del siparietto italiano, esce un’immagine poco decorosa.

«Graziella aveva appena 17 anni e lavorava in una tintoria per portare soldi alla famiglia. Non aveva grilli per la testa – ha detto il fratello Pietro Campagna – e non sognava di diventare un ingegnere o un avvocato. Il suo unico sogno era guadagnare qualche lira per comprare il corredo. Venne trovata, 3 giorni dopo la sua morte, tra montagne orribili e desolate sfigurata da cinque colpi di lupara. Gli esecutori furono arrestati ma nonostante il processo vennero liberati. Il mio avvocato ha lavorato gratuitamente e alla sentenza ha pianto. In questi casi tutti dovrebbero seguire il suo esempio».

«Attraverso questo provvedimento la povera Graziella Campagna viene uccisa due volte – ha commentato l’attore Beppe Fiorello – qui c’è una ragazza morta barbaramente per aver incrociato sulla propria strada Cosa Nostra e c’è un fratello, Pietro, che ha dedicato la vita a ridare dignità alla propria famiglia. Questo film – prosegue Fiorello – poteva essere un modo per aiutare i Campagna invece, e parlo da cittadino non da attore, offriamo ulteriori garanzie a questi assassini che da oltre 20 anni la scampano».