PROFEZIE. A pagina sette del nostro giornale oggi in edicola dimostro con i fatti di essere stato un facile profeta su quella che sarebbe stata la sorte dell’ospedale Madonna del Soccorso per il quale, trent’anni fa, la città scese in piazza per ottenere il riconoscimento di struttura provinciale.
C’ERA UNA VOLTA. Un riconoscimento che portò all’arrivo di valenti primari da ogni parte d’Italia. Ne cito alcuni: Dardari (radiologia), Benatti (pediatria), Mucci (laboratorio), Majinelli (ginecologia), Barigazzi (ortopedia), Sorge ce l’avevamo. Il grande radiologo, ora sambenedettese a tutti gli effetti, su tutti. Molti di loro sono stati costretti ad andarsene per motivi non legati all’efficienza dell’ospedale ma per una insensata… lotta allo “straniero”. Fattori che hanno comunque anche loro contribuito ad una discesa verticale che non è sembrata vera a Fermo e Ascoli.
GIUSTO COSI’. Presupposti che contribuiscono alla prossima declassificazione del nosocomio e che noi stessi sambenedettesi non possiamo negare o non accettare. Oggi il “Madonna del Soccorso” è un ospedale grande nella struttura esterna ma “vuoto” dentro con eccezioni che non sono sufficienti per competere con l’ascolano “Mazzoni”. Ho cercato di mettere in guardia i nostri politici indicando l’ospedale di vallata come un semplice espediente per distogliere l’attenzione da quello che stava succedendo nella città capoluogo di provincia dove il suo nosocomio, da diverso tempo, viene arricchito in tutto, dalla struttura alle specializzazioni.
LA VALLATA? IL MAZZONI. Che senso aveva, scrissi, fare nuovi padiglioni in un ospedale che sarebbe stato in seguito “distrutto”? Ora è tardi per porvi riparo e, anche per il nostro bene, è meglio non averlo un ospedale che averlo come è oggi e come diventerà. Dalla bontà di una struttura sanitaria dipende semplicemente la nostra vita.
ASCOLANI E ANCONETANI. Nelle riflessioni di un anno fa mi auguravo che l’attuale direttore anconetano Giuseppe Petrone non venisse mandato via perché aveva manifestato il suo amore alla nostra città e sembrava intenzionato a non portare a termine il “lavoro” iniziato dagli ascolani Salvi e Sisto, dall’anconetano Angelone, da Marabini, dall’altro anconetano Belligoni. Anche il direttore sanitario si chiama… Anconetani. Un gruppetto di “provinciali” e “regionali” che mi chiariscono le idee sul fatto che conta più la “nazionalità” delle persone che la qualità. Per lo stesso motivo gli ascolani avranno l’ospedale a due passi, noi a trenta chilometri.
SVEGLIAMOCI. Se è giusto così e cioè che conta di più il riconoscimento istituzionale (capoluogo di provincia, di regione) perché non iniziamo a far valere le potenzialità del nostro territorio, che non è secondo a nessuno, per fare una grande città con una fusione (lo prescrive la legge) che è sicuramente la parola che fa più paura ad Ascoli e Ancona per i motivi descritti e, chissà perché, fa tantissima paura anche ai nostri politici che non hanno il coraggio di provarci. Anzi, altro che chissà perché, si sa e come: diminuirebbero le poltrone e il numero di sindaci. Che non sarebbe un male ma un bene per tutti. Però…
PIU’ I DIFETTI CHE I PREGI. Purtroppo però la maggior parte degli elettori pensa più all’uomo e al partito che rappresenta che ai fatti e al vero interesse della comunità. Tra l’altro i politici di oggi hanno addirittura qualcosa in meno rispetto a quelli di qualche decennio fa. I quali hanno trasmesso molti difetti a quelli attuali ma nessun pregio. Quello, per esempio, della difesa del proprio territorio con le mani e con i piedi (i cortei che si fecero per l’ospedale provinciale ne furono una prova), ora sacrificano anche l’amore per la propria terra per interessi personali di carriera o per altri motivi molto meno nobili.