SAN BENEDETTO DEL TRONTO – V-day e Noam Chomsky. Impossibile creare un’associazione mentale tra i due nomi, se non fosse che sul sito di Beppe Grillo il grande studioso americano ha rilasciato un’intervista a proposito della manifestazione dello scorso 8 settembre, e sulle successive reazioni dei media e dei partiti.

«V-Day. Parlamento Pulito. Nulla è stato detto [prima] dalla stampa – esordisce Chomsky -. La cosa è incredibile e riflette la chiara, se non travolgente, necessità della popolazione che chiede sia fatto qualcosa di concreto per risolvere il persistente problema della politica italiana.
Dimostra che [Grillo] ha toccato un nervo scoperto; la reazione riflette, io penso, un senso di colpevolezza e paura. Quello che stanno facendo è molto importante e, per il potere, preoccupante. Tralasciamo l’accusa di terrorismo, che non ha senso. Ma l’accusa di populismo è interessante»

Già, il populismo, una delle parole maggiormente usate dai politici, con la quale hanno descritto la manifestazione dell’otto settembre scorso, tacciandola di superficialità e approssimazione. Il grande linguista, politologo e filosofo americano, che ha dedicato un’intera vita allo studio dell’evoluzione sociale rapportata a sistema politico ed economico e ai mezzi di informazione in una nazione, ne ha dato una spiegazione ineccepibile: «Cos’è il populismo? Populismo significa appellarsi alla popolazione; è un’accusa grave se viene da chi guida l’opinione pubblica. Pensano che la popolazione debba essere tenuta lontana dalla gestione degli affari pubblici. Pensano che la popolazione dovrebbe essere spettatrice e non partecipe.
Secondo questo punto di vista – prosegue lo studioso – è sbagliato provare a coinvolgere la gente nella gestione della cosa pubblica. Forse il più grande intellettuale USA del XX secolo, Walter Lippman, pensava che la maggioranza della popolazione fosse ignorante e inaffidabile; le persone responsabili che dovrebbero guidare il Paese devono essere tenute al riparo dalle iniziative del popolo e dalla sua rabbia. Non è una posizione inusuale; è comune tra i liberal, gli intellettuali democratici e, da loro, si trasferisce alle classi dirigenti. E’ chiaro, quindi, perché le persone al potere non agiscono secondo i desideri della popolazione; questo è l’opposto di una democrazia funzionante»

«Penso che la vera democrazia sarebbe molto più efficace senza quelli che chiamiamo partiti politici, che funzionano solo come macchine per la produzione di candidati. L’unica forma di partecipazione proposta al popolo è quella di radunarsi ogni tanto e scegliere tra candidati e programmi che vengono presentati loro. Le persone sono escluse dalla formazione delle posizioni politiche dei candidati».
«Alcune figure che sono in grado di raccogliere finanziamenti – prosegue il linguista – il che vuol dire che sono “create” dal mondo economico, arrivano nelle città e dicono “Vota per me perché so io cosa fare” e la gente decide se votarli o meno. Una società democratica dovrebbe funzionare un po’ diversamente. Cosa dovrebbe accadere in una democrazia vera? La gente si radunerebbe pubblicamente e deciderebbe quale politica preferisce e direbbe ai candidati: “Questa è la politica che desideriamo; se sei in grado di portarla avanti bene, altrimenti vai a casa“. Questa sarebbe una democrazia effettiva, il che è molto lontano dalla situazione attuale. L’attività politica dei partiti ora consiste nel produrre candidati attraverso meccanismi che sono controllati da concentrazioni di potere economico che emarginano la popolazione.
Un grande commentatore americano del XX secolo, John Dewey, evidenziò correttamente come “la politica è l’ombra che il potere economico ha posto sulla società”. Sembra proprio così, e non è democrazia».
E intanto Beppe Grillo annuncia che il prossimo V-Day sara incentrato sul diritto alla libertà di informazione.