Macché Cangrande Della Scala signore di Verona, macché Arrigo VII incoronato imperatore nel 1309. Oggi è chiaro: il salvatore della patria profetizzato da Dante per bocca di Virgilio (Inferno, I, 100-102) allegorizzato nella figura del veltro, identificato dagli esegeti – mai con certezza – in questo o quel grande, è Lui, il Veltroni nazionale, tormentone estivo e di chissà quant’altre stagioni ancora. A lui pensava Dante, nello slancio profetico.

Gli indizi ci sono, e forti:

– il nome (se ti pare poco…);

– le specchiate virtù: «questi non ciberà terra né peltro, / ma sapïenza, amore e virtute». Nel discorso della montagna, pardon del Lingotto, il messianismo del Nostro s’è precisato senza se e senza ma;

– la missione: salvare l’Italia dal botto che sta per fare. Non c’è problema: «di quella umile Italia fia salute/ per cui morì la vergine Cammilla, / Eurialo e Turno e Niso di ferute».

Che più? Eccocelo bell’e identificato, il riformatore vagheggiato dal Sommo e dai contemporanei suoi, l’uomo della Provvidenza – giacca cravatta e occhiali, vabbe’ – sulla cui identificazione fior di commentatori s’accapigliarono fin qui.

Ora che sappiamo, ora che la grancassa mediatica – titoloni paginoni dibattitoni – ce l’ha ammannito in tutte le salse il profetizzato Veltro(ni), ci disponiamo con animo lieto a salutare la novella età dell’oro che, siamone certi, ci s’apparecchia.

Se il disfattista nicchia, dubita, tentenna, si faccia in là, passi oltre, dica con l’Anonimo che «perché chi sia questo Veltro(ni) non è diffinito, […] è da passare oltre leggiermente».

[Grazie a Dante Alighieri. E alla Senna]