Sergio Piunti ci ha inviato una lettera con sue riflessioni sulla strage di Appignano. La pubblichiamo integralmente.

Cos’è la tolleranza? E’ forse dire grazie per reprimere la rabbia. E’ forse dire: “avanti ai prossimi martiri”. Quali? Un paese di poche anime ha già dato tutte le sue riserve. Quattro fanciulli invincibili sul motorino sognavano un futuro dopo quelle curve. Erano felici per un fine settimana duplicato, storditi dall’emozione dei giorni prima della festa. Oggi, non sono con noi a festeggiare la libertà. Siamo noi a piangere il loro dolore e la nostra rabbia.

Sono triste, afflitto, turbato e furioso. Già da domenica notte, quando un incubo simile mi ha fatto perdere il sonno. Ascoltare le notizie da Appignano, mi soffoca il cuore. Io sono lì, in mezzo a loro, a cercare di spegnere il fuoco.

Lo stesso fuoco che accende tutti i nostri cuori. Non sono “tragiche fatalità”, “Ma quanti giovani piceni purtroppo sono ubriachi al volante e provocano tanti incidenti stradali? La responsabilità di quanto è accaduto dunque non va attribuita al Rom in quanto Rom ma ad un automobilista ubriaco”, come qualcuno vuol fare intendere.

I martiri non cercano giustificazione. Non voglio compassione, né giustizia. Cercano la verità. La verità è che una realtà di provincia come la nostra, medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana, oggi, nella ricorrenza dalla liberazione dagli invasori, debba piangere i martiri di un’altra liberazione. Nessuno li ha chiamati. Nessuno li vuole. Libertà dallo straniero che non si vuole integrare. Che non è in grado di integrarsi. Uomini e donne che non hanno la cultura del lavoro e del rispetto, che vivono alle nostre spalle. Avvoltoi che si nutrono dei nostri risparmi. E che oggi si nutrono del sangue dei nostri figli. La verità è che la nostra provincia, prima esportatrice europea della dedizione al lavoro, alla comunione e al sacrificio, non può e non potrà mai fondersi con culture opposte. Non ci appartengono. Noi eravamo altra cosa.

La mia riflessione non è “straniero si” o “straniero no”. La mia riflessione è su noi stessi. Abbiamo dimenticato la verità. Abbiamo lasciato che ci disgregassero, sostituendoci nelle mansioni che non volevamo fare più. Il nostro imborghesimento ci ha resi fragili, al continuo flusso di queste inutili invasioni barbariche. Ci siamo fatti togliere i lavori che erano troppo faticosi per noi, li lasciamo spacciare droga per i nostri figli a cui non abbiamo dato certezze e speranze, e pensiamo troppo a come barricarci in casa a difendere il patrimonio. Guadagniamo miliardi a suon di guerre nei paesi da dove scappano, per averli poi sotto casa, quando non c’è futuro per noi. Non c’è lavoro e non ci versiamo più contributi per il nostro futuro. Uno stato assistenzialista non più per noi, solo per loro che nemmeno lavorano. Basta. Noi siamo le bestie di noi stessi. Il benessere ci ha distaccato dalla propensione al sacrificio, trasformandoci in molli invertebrati alle prime difficoltà. Siamo noi gli artefici del nostro declino. Pecchiamo di superficialità e sostituiamo i valori portanti di un tempo, con quelli dispensati dalle tv. Cosa siamo diventati? Orchi violentatori di bambini, alcolizzati e cocainomani, di notte, bacchettoni e moralisti di giorno.

E lasciamo che i nostri figli siano i martiri della tolleranza.