Dopo la liberazione e il ritorno in Italia di Daniele Mastrogiacomo, è cominciata una discussione sull’opportunità di pagare riscatti a delinquenti e terroristi. In questo dibattito sono entrati in gioco anche altri discorsi, come quello del giornalismo in zone di guerra e dell’enfasi che i media danno a determinate situazioni piuttosto che ad altre.
Leggendo la rubrica “Lettere al Direttore” tenuta da Vittorio Zucconi su Repubblica.it, abbiamo trovato da una parte una serie di testi molto critici inviati dai lettori del quotidiano, dall’altra una risposta di Zucconi che merita di essere letta. A prescindere dall’accordo o dal disaccordo che si può avere con essa.
Ne riproponiamo una parte con l’intento di stimolare una discussione anche fra i lettori del nostro quotidiano locale.
Ovviamente il testo che riprendiamo da Repubblica.it va integrato con la lettura delle lettere che si trovano all’interno della stessa pagina web.

(di Vittorio Zucconi)

Se pubblico questo piccolo campionario di lettere sulla vicenda del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, escludendo i messaggi di persone che semplicemente si rallegrano perché la sua vita, fra le tante inutilmente consumate sugli altari delle guerre di inciviltà, è stata risparmiata (di nuovo, grazie), non è per il piacere masochistico dell’autoflagellazione, ma è proprio per bieche ragioni corporative e di casta.

La mia casella di posta, come quella di molti giornalisti meno giovani e meno ignoti, è quotidianamente allagata da ragazzi e ragazze con favolosi curricula che offrono, chiedono, sognano a volte implorano, di entrare nel giornalismo. Vorrei che questi giovani aspiranti leggessero attentamente queste lettere, che nella loro sostanza, escluse alcune considerazioni dolorose e ragionevoli sull’eterno e irrisolto dilemma dei comportamenti di fronte ai ricatti, convergono tutte su un punto: che noi giornalisti godiamo di una profonda e spesso ben meritata disistima pubblica, alle soglie del risentimento e del disprezzo, fatto confermato dai sondaggi americani che collocano sempre i giornalisti alle ultime posizioni della considerazione collettiva, insieme con venditori di auto usate, avvocati e ortodontisti.

Appariamo come una casta di privilegiati, egolatri, raccomandanti, strapagati, scavezzacollo, saltimbanchi, fancazzisti, venduti, prostitute e soubrettes al cui confronto le sorelle Lecciso sono suorine di clausura che comunque fanno meno danni di noi. Raccolti in un’impotente organizzazione professionale dalle funzioni sempre più oscure e inutili, che riesce a farci sembrare una corporazione senza esserlo, cioè l’Ordine dei Giornalisti, sorta di tassisti senza tassì, di farmacisti senza farmacie.

Mi piacerebbe che gli anelanti alla professione di Daniele Mastrogiacomo si rendessero conto che quel mondo nel quale vorrebbero ardentemente entrare non è il palcoscenico di pailettes e poltroncine per invadenti culi di pietra che oggi viene spacciato per giornalismo, di ingaggi da brasiliano dell’Inter, di premi estivi “Caciotta d’Argento” con cestino di prodotti tipici, ma è un mestiere nel quale la vasta maggioranza di chi lo pratica lavora nella più completa oscurità catastale, guadagna in gran parte stipendi da impiegato sperando soltanto negli scatti di anzianità e nel matrimonio con una/un altro giornalista per aumentare il reddito famigliare, fa orari di lavoro scellerati, campa in provincia riempiendo di parole che nessuno leggerà mai pagine e pagine pagate a tariffe da clandestino sudanese. Ma, quando osa fare il proprio mestiere, e andare a vedere con i propri occhi quello che deve raccontare, che non sono sempre le foto porcelle di Corona o i congressi dell’Udeur e a volte sono una guerra, una rivoluzione, una guerriglia, eventi implicitamente rischiosetti, anziché ripisciare i comunicati ufficiali, le veline del feudatario o le chiacchiere col barman e il tassista se non passare il tempo a fissare un monitor succhiandosi il pollice Internet, si sente dare del cretino, dell’esibizionista, dell’incosciente, del complice dei terroristi e del dilapidatore di fondi pubblici sottratti ai poveri pensionati.

Indipendentemente dal fatto che circa il 99% delle accuse rivolte ai giornalisti sono giustificate dal nostro comportamento, soprattutto nel tempo della sovraesposizione mediatica e dei picchi d’ascolto, e che l’altro 1 per cento è costituito da, come direbbe nella sua inimitabile poetica l’editore (…..), c…. che credono ancora nel proprio lavoro, mi auguro che anche questo caso Mastrogiacomo serva ad allontanare quanti più giovani dal giornalismo sia possibile e a indirizzarli verso altri mestieri e professioni più apprezzate, rispettate e remunerate dalla comunità italiana, quali il magnaccia, lo spacciatore, il rapinatore, il concussore, lo strozzino, il voyeur, il falsificatore di bilanci, il palazzinaro abusivo, l’appaltatore senza asta, il calunniatore o il prescritto da reati di mafia.

Welcome home, Daniele, this land is your land