SAN BENEDETTO DEL TRONTO – «Gli editori si rifiutano di trattare», dice la Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana). «Non è vero. Sono i giornalisti che rifiutano di farsi maltrattare», risponde la Fieg (Federazione italiana editori giornali).
Sintetizzano ottimamente l’attuale grave situazione le due battute della vignetta di Pat tratta dalla copertina dell’ultimo numero di Giornalisti, organo unitario dei cinque pilastri su cui si fonda la dignità professionale della nostra categoria: Ordine dei Giornalisti, Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana), Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani), Casagit (Cassa sanitaria dei giornalisti italiani) e Fondo integrativo.
Il nodo del progressivo aggravarsi ed estendersi della protesta dei giornalisti – alla quale d’ora in avanti aderiremo anche noi – non è solo il semplice rinnovo del CCNL (Contratto collettivo nazionale di lavoro) scaduto 22 mesi fa e non ancora rinnovato. Non è solo su banali adeguamenti di stipendio. È piuttosto su qualcosa di molto più grave e pericoloso per tutta la categoria, compresi coloro che, come noi, non dipendono da alcun editore, essendo editori di se stessi.
L’attacco è alle tutele previdenziali e assistenziali del nostro lavoro, è alle tutele normative della nostra professione da parte di chi – Fieg ma anche Enti pubblici che hanno Uffici stampa dipendenti da politici – preferirebbe dei giornalisti precari, insicuri, intimoriti, disposti ad essere asserviti a questo o a quel padrone di turno. Insomma dei giornalisti meno, anzi per niente affatto, liberi. A questo punto anche noi non possiamo che aderire e scendere in campo per protestare assieme a tutti gli altri.
Vogliamo che sia sempre più diffusa, corale, unitaria e compatta la protesta contro questo strisciante “regime” che punta a soffocare la libertà di stampa e di informazione, contro l’interesse dei lettori e di tutti i cittadini.
Ecco perché abbiamo deciso una nostra autonoma forma di “astensione aziendale” che si manifesterà negli stessi termini e con la stessa durata delle forme di protesta che d’ora in poi saranno decise da tutti i nostri colleghi a livello nazionale.
Facciamo nostro, dunque, quanto ha affermato nei giorni scorsi in una nota la Fnsi, il sindacato unitario: «I giornalisti sono costretti ad attuare forme di lotta tra le più dure nella loro storia a causa della intransigente posizione di chiusura degli editori della Fieg e della pubblica amministrazione ad aprire i rispettivi negoziati contrattuali. Gli scioperi sono la conseguenza di una vertenza della cui asprezza sono responsabili unicamente quegli editori che, in seno alla Fieg, continuano a far prevalere la linea del muro contro muro».
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Bravisssimi ragazzi, sono pienamente d'accordo. I grandi editori vengono finanziati con il denaro pubblico e poi si permettono di parlare di "flessibilità per potersi mantenere al passo con il mercato moderno". In pratica fanno i comunisti quando prendono il grano pubblico e fanno i liberisti quando si tratta di rinnovo contratti e gestione delle risorse umane. Abbiamo bisogno di giornalismo vero, slegato dalla politica e quindi non imbavagliato da editori manovrati dai partiti che li finanziano.
Non mollate!
Caro Signor Mattioli, socializzare le perdite e privatizzare i profitti è stata la prevalente strategia economico-finanziaria del capitalismo italiano, dall’Unità d’Italia a Tangentopoli e oltre. Oggi le rigide regole imposte dalla moneta unica europea rendono molto più difficile attuare questa strategia di comodo, che tanto è costata alle tasche dei contribuenti e che tanto ha arricchito quelle dei grandi imprenditori, editori compresi. Detto questo – essendo noi una società di redattori non dipendenti da alcun editore – la ragione per cui abbiamo ritenuto di aderire in questa fase alla dura protesta dei giornalisti italiani non è tanto legata al rinnovo… Leggi il resto »
Preoccupata. Anch’io che sono tra i giovani di questa professione pur avendo 21 anni alle spalle di apprendistato, mi rendo conto che qui si gioca il presente ed il futuro della società in generale e della nostra categoria in particolare. Ricordo che, quando entrai, seppure fosse molto difficile, una volta arrivati, gli stipendi si prospettavano dignitosi per chi aveva titoli e esperienza. Ma soprattutto ricordo la libertà di poter lavorare secondo coscienza. Maestri che insegnavano, in redazione, come fare del nostro meglio. Oggi tutto va di corsa. Ai giovani (tranne che nelle scuole di giornalismo) nessuno spiega cosa sia una… Leggi il resto »