SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Li avevano attribuiti agli alieni o addirittura alle messe nere. (vedi articolo inerente Mistero sulla sabbia) Nessuno poi ne ha più parlato e sembra che nessuno si sia posto domande, o abbia cercato di capire da dove veramente venissero, di approfondire o… Ancora di aprire gli occhi per rendersi conto che quei segni non sono che un codice. Si, più precisamente è il Codice Mata.

Ogni quadrato, ruotato e posizionato in maniera diversa, è una lettera del nostro alfabeto. Quindi cosa c’era scritto sulle nostre spiagge, da Cupramarittima sino a Porto d’Ascoli?

Se ancora non avete fatto due+due, ma siete fra quelli che si sono chiesti chi ha fatto quei segni ed avete cercato informazione… Bene, anche voi siete stati contagiati.

I segni, per i quali sono state fatte tante segnalazioni, appartengono alla presentazione dell’opera di Giovanni Neroni. All’interno della Biennale Adriatica Arti Nuove, infatti, oltre ai due percorsi tematici di Aviaria e Raid, c’è anche LOUSE (pidocchi). L’opera potete vederla di fronte alla Palazzina Azzurra, sul Lungomare, proprio vicino al Ponte Albula.

Seppur svelato da dove provenissero questi codici, rimane comunque da capire cos’è questo codice, come nasce e perché. Lo abbiamo chiesto direttamente all’artista Giovanni Neroni.

Come nasce e cos’è il Codice Mata?

«Innanzitutto occorre dire che Mata significa Madre. Il Codice Mata nasce da un modulo, che è un quadrato. E’ nato come modulo costruttivo per creare composizioni, arredamento. Partendo da questo modulo, che è la forma più semplice in assoluto, e spostando la mia attenzione verso l’arte e non più verso il design, ho ideato questo codice.

Ho dato una storia a questo codice, come se mi fosse stato suggerito da qualcuno. In questo caso è arrivato dallo spazio, ma la prossima volta potrebbe essere stato trovato in un altro luogo. E tutti i lavori che realizzo con questo codice sono ipotesi di come questo codice si sia materializzato, come sia arrivato sulla terra e come anche mi sia venuta l’idea.

La mia attuale ricerca, che ormai dura da due anni, è quella di lavorare sulla conoscenza di questo codice. I primi lavori sono stati i messaggi. Arrivavano quindi i messaggi in codice Mata, lavorando con delle frasi nascoste – chiaramente.»

Quindi sull’opera che vediamo ci sono delle frasi?

«Se partiamo dal logo – il quadrato formato da quadrati, nota – possiamo vedere che è un quadrato che gira intorno ad un altro quadrato e così via. Quindi in base alle posizioni che assume ha un significato, si riferiscono ad una lettera, andando a formare un codice universale. E… Si ci sono delle frasi. Proprio in questo periodo sto facendo delle traduzioni di libri importanti con questo codice, proprio come se questa fosse una lingua universale e tradurre i libri in questa lingua potesse essere utile al preservare la nostra cultura.. Essendo però il quadrato un codice grafico, non ha suono. Leggendo quindi non possiamo far altro che gaurdarlo.»

Cosa c’è scritto sotto l’opera? (Codice in grigio sul nero).

«Quella è una frase, ripetuta tre volte che recita: Non voglio che voi capiate, ma voglio che voi pensiate. Chiaramente è riferito all’essenza stessa del codice. Perché guardando la mia opera è chiaro che non potrai mai capire se io non ti do la chiave per capire cosa c’è scritto. Però la cosa incuriosisce e ti fa pensare. Questo è un po’ il concetto di tutta l’arte, il fatto di guardare una cosa e di non capire subito quello che l’artista vuol dire. Perché sono cose talmente personali che finchè non hai una spiegazione, un riscontro non riuscirai ad entrare appieno in quello che voleva dire l’artista. Quella per me è quindi una frase chiave dell’arte in generale e l’ho voluta dare al mio lavoro. E’ anche un po’ per sdrammatizzare: non ha importanza che tu riesca a decifrarlo o meno, l’importante è che lo guardi, lo capti e che ti dia un’emozione.»

Quindi sveliamo il mistero: i segni che tutti hanno visto in spiaggia ed in altri luoghi, erano…

«Si, sono stati fatti per accrescere la curiosità. Stava a significare che un’astronave arrivava a S.Benedetto, lasciava il codice e poi ripartiva. Per la Biennale questo codice si è fermato e si è messo in mostra. Questo per me è un inizio del mio lavoro a livello pubblico, perché fino ad ora le cose che ho fatto erano solo mie. Ora questo codice è atterrato, ed inizia la mia esperienza sulla terra/società, visto che ora è stato reso pubblico.»

E cosa c’era scritto?

«C’era scritto tre volte Codice Mata, la stessa scritta che puoi vedere anche su di un lato dell’opera.»

Noi non possiamo far altro che augurare a Giovanni che il suo codice continui a contagiare, a diffondersi e ad invadere sempre un po’ di più le nostre strade.

Cliccando sulla destra multimedia, ricca fotogallery dell’opera.