SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Per la marineria della nostra città tornano i tempi critici del fermo pesca. Nella zona di Adriatico fra Trieste e Termoli, infatti, l’interruzione obbligatoria dell’attività di pesca sarà in vigore dal 31 luglio al 25 agosto, suscitando polemiche sia fra gli operatori del settore ittico che fra i consumatori e gli operatori del settore turistico e della ristorazione. I termini della misura vengono stabiliti dal Governo centrale e questo, secondo l’assessore regionale alla pesca e all’agricoltura Paolo Petrini, è già di per sé il primo punto critico da considerare. «Probabilmente – dichiara Petrini – questo è l’ultimo anno che il fermo pesca prende l’avvio senza un diretto coinvolgimento delle Regioni. Con l’entrata in vigore del nuovo Fondo Europeo per la Pesca (Fep), che per la prima volta prevede un cofinanziamento europeo per il fermo, dovranno essere ridiscussi a tavolino i principi per l’articolazione dello stop dell’attività di pesca, coinvolgendo la ricerca ma anche gli operatori economici della regione».

Altro punto critico è l’effettiva utilità del fermo pesca nei confronti del ripopolamento ittico, utilità la cui natura va rapportata ai disagi che provoca ad esempio nel settore turistico.

«Sin dalla sua istituzione nel 1988 – continua Petrini – il fermo biologico ha suscitato polemiche e opinioni discordanti sia fra i biologi della pesca che fra gli operatori del settore ittico. A livello scientifico il problema è che un periodo di interruzione unico non permette a tutte le specie di trarre il dovuto beneficio; alcune infatti si riproducono in periodi dell’anno o leggermente precedenti o del tutto diversi da quelli di riposo biologico. Per gli operatori economici del settore il problema principale è che il fermo limita il prelievo della risorsa nel periodo estivo in cui se ne riscontra la più alta richiesta in concomitanza con il maggiore afflusso turistico. Alla luce di quanto esposto, senza nulla togliere a una misura di tutela che ha prodotto risultati positivi nella conservazione degli stock ittici, forse è giunto il momento di riconsiderare i metodi di applicazione del fermo biologico».

Quali soluzioni? Secondo l’assessore Petrini alla base del cambiamento ci devono essere interruzioni differenziate per specie ittiche, per tecniche di pesca, per aree geografiche, distribuite su periodi di tempo diversi e più lunghi. «In tal modo – sostiene Petrini – sarebbe possibile ottenere tre risultati fondamentali: innanzitutto, la reale tutela della specie, limitando il prelievo degli animali in fase riproduttiva e di quelli giovani dalle aree di nursery; secondariamente, il fermo andrebbe a interessare gli operatori in modo differenziale; infine, non ci si troverebbe nel periodo estivo in una condizione di totale assenza di prodotto».

Protagonisti della gestione del fermo pesca, dunque, devono essere le Regioni e non il governo centrale. «Dal 1997 – afferma Petrini – le competenze relative alle tematiche di pesca sono di fatto passate alle Regioni, pertanto sarebbe più logico che anche la misura dell’arresto temporaneo fosse gestita a livello locale. Il nuovo fondo europeo per la pesca (FEP) offre spunti interessanti in questo senso, in quanto c’è un intero asse che è orientato a sostenere i Gruppi d’Azione Costiera (GAC), i quali potrebbero in futuro partecipare attivamente, in collaborazione con le istituzioni regionali, alla definizione dei periodi di arresto». Il risultato di un processo del genere sarebbe un approccio dall’alto verso il basso, o “bottom-up”, che potrebbe conciliare da un lato le esigenze degli operatori economici locali e dall’altro le necessarie misure di tutela e di gestione della risorsa ittica.