RIPATRANSONE – Quando nasce il turismo? Quando si affaccia alla ribalta l’homo turisticus come nuovo tipo antropologico? Qual è il punto di passaggio fra la concezione nobile del viaggio come momento di sogno fuori dal quotidiano e l’odierna industria del turismo massificato?
L’occasione per parlare in maniera conviviale di questi temi è stata la presentazione del libro “La prima industria del pianeta” di Renato Novelli venerdì 10 febbraio presso la biblioteca comunale di Ripatransone. La serata, introdotta da Gino Troli, è stata il quinto appuntamento di “Scie. Luoghi quotidiani per linguaggi diversi”, promossa dalla provincia di Ascoli.
Nascita del turismo come fenomeno prettamente moderno, tempo libero come istituzione quasi dittatoriale nella società post-industriale, antropologia del viaggio. Se prendiamo la classificazione dei turisti che propone Novelli – c’è il turista stanco, c’è quello curioso, il determinato, il progettuale – e la proiettiamo per gioco sulle nostre esperienze passate e future, come ci vediamo? E soprattutto, quanto pessimismo si affaccia al nostro pensiero?
Chissà che razza di turista era Goethe, uno dei più famosi rampolli dell’alta società nord europea settecentesca, inviato quasi per forza dal padre a compiere il grand tour, il viaggio obbligato verso l’Italia da cui proviene etimologicamente la parola “turismo”. Forse ha attraversato questa gamma di stati d’animo, stanco all’inizio e via via sempre più determinato a incontrare la cultura mediterranea e progettuale nello scoprire le rovine di un passato fastoso, per divenire quasi un sornione antesignano del turista del piacere oggi tanto in voga. C’è anche la trasgressione nel viaggio, certo, la follia di vivere un momento straordinario, poetico, che anche nelle sue possibili negatività nutre la memoria e colora la nostra storia personale.
E se la nostra memoria venisse per caso inquinata da quelle “bolle” di turismo organizzato con il suo contorno di confusione e sfruttamento totale del nostro dispotico tempo libero? Cosa ci capita se ci troviamo in un posto senz’anima, omologato e omologante, magari con un contorno di ragazzini urlanti inseguiti da mamme con in mano il panino con la frittata?
San Benedetto del Tronto, ce l’ha un’anima? Su questo si è discusso molto, opinioni diverse hanno chiosato quella di Novelli: “la nostra amata città ha gettato via la sua anima, la sua vera cultura, il suo vero sapore, e questo si sente e si vede”. Lo notò Pasolini addirittura nel 1959, San Benedetto non gli lasciò nulla dentro. Si sbaglia? Se non si sbagliasse, vorrebbe dire che la città delle palme ha una scarsa intelligenza storica, un’anima spenta. Si badi, però. Novelli non intende l’anima di un luogo come il nucleo, l’essenza astorica sempre fissa; l’anima di un luogo, quando c’è, è in sincronia con la storia, si muove con essa, reinventandosi sempre. E’ in questo senso che dobbiamo porci la domanda su San Benedetto.
Il futuro del turismo è nei posti che hanno conservato la loro anima, che hanno un dinamismo e un grande rispetto per se stessi; i primi a starci bene devono essere i propri abitanti. E se la decadenza della forma albergo portasse al turismo “di casa”, in uno scambio di culture e esperienze che conduca il turista nella casa della gente, a vivere la loro vita quotidiana? L’esempio c’è, ed è in quei villaggi asiatici colpiti dallo tsunami che hanno sviluppato il “turismo di comunità”, creando musei viventi dello tsunami a partire dalle barche che la furia del mare ha sbalzato nei boschi e che nessuno ha poi toccato.
Il futuro del turismo, secondo Novelli, è in definitiva legato al tramonto del modello attuale per i beni e i servizi, gonfiato da una sovrabbondanza dell’offerta che disorienta e crea nevrosi. Il futuro passa dal lato della domanda, e che sia responsabile e articolata. I flussi di informazione, oggi, sono talmente potenti da permettere a chi vuole un approccio del genere al mondo del turismo, e del consumo in generale.