L’albero appartiene, insieme al suo complesso simbolico e costrutto metaforico, all’immaginario collettivo di quei popoli, che solitamente lo utilizzavano per rappresentare una divinità o un altro essere sacro (si riteneva che uno spirito dimorasse tra i suoi rami), oppure per significare ciò che è sacro in generale. Le credenze spirituali di una società, su quali tipi di alberi siano da adorare, dipendono dalla natura e dal numero di alberi presenti sul territorio, motivo per cui vengono identificati nelle caratteristiche botaniche di più specie.
Accanto alla quercia, alla vite, all’ulivo, all’edera, alla palma, al mirto…, anche l’abete rientra nel novero degli alberi sacri. Strettamente associato al mondo soprannaturale e magico, è una pianta antica dall’alto fusto e sempreverde, appartenente alla famiglia delle Pinacee. Si distingue in Abete Bianco (Abies Alba), dalla corteccia grigio-cenere e forma slanciata e conica, e in Abete Rosso (Picea Excelsa), dal tronco bruno-rossiccio sfaldato in placche, che può raggiungere i 68 mt. di altezza.
L’abete, conosciuto anche in terre molte lontane dal suo ambiente naturale, è per eccellenza nella nostra cultura l’albero, che simboleggia il Natale. Ma, le origini della sua storia e della sua usanza sono molto antiche.
L’Albero di Natale è l’erede di una tradizione pagana dei popoli scandinavi, legata al ritorno della luce dopo il solstizio d’inverno e dedicata “al Sole bambino che rinasce dopo il tramonto simbolico, al termine dell’autunno: un’emanazione del divino come luce e vita del cosmo�?. Anche presso gli Egizi era considerato albero della ri-nascita, poiché era la pianta sotto la quale era nato il dio Biblos. Nell’antica Grecia l’abete bianco era sacro della dea Artemide, protettrice delle nascite e nell’Asia settentrionale viene considerato albero cosmico, piantato al centro della terra. Nell’antica Roma (45 a.C.), come ci ricorda Virgilio, vi erano le abitudini di portare in giro, durante le feste saturnali, un giovane abete come segno della fine dell’inverno e dell’inizio della primavera, e di decorare alberi sempreverdi – emblema della vita infinita- con ghirlande e lumi colorati.
Questo simbolismo pagano fu assimilato e piegato dai cristiani alle proprie esigenze cultuali (già nelle Sacre Scritture l’immagine dell’albero “è assimilata al divino�?). Inoltre, questo “riuso�? trova delle giustificate motivazioni storiche. Infatti, nel 274 d.C., l’imperatore Aureliano introdusse una festa in onore del Sol Invictus, una divinità solare celebrata il 25 dicembre e, sempre nella stessa data, i seguaci del dio Mitra festeggiavano il giorno dedicato al culto del nuovo sole (nell’Impero Romano, Mitra era figlio del dio supremo: figlio del sole e sole egli stesso). La Chiesa, preoccupata dall’improvvisa e sbalorditiva diffusione nel costume popolare di questi culti pagani, pensò di trasformarla in una festa cristiana: al Sole Naturale si sostituì il Sole Spirituale, Cristo. E l’albero incarnò il simbolo della Sua natività.
Molte sono le leggende, che si narrano intorno all’abete natalizio. Un tardo mito germanico racconta, che fu San Vilfredo il primo a conferire all’albero di natale un preciso significato religioso, poiché con esso si costruivano le abitazioni e le sue foglie sempreverdi erano sinonimo di immortalità. Alcuni, invece, riferiscono la storia secondo cui fu Martin Lutero, che trovandosi in una foresta rimase colpito dai giochi cromatici della luce delle stelle, infiltrata tra i rami degli alberi. E pur di mostrare questo spettacolo alla sua famiglia, portò a casa un piccolo abete e lo ornò di candeline accese.
Secondo fonti certe, invece, la tradizione dell’albero natalizio era già ampiamente diffusa nella Germania del XVI secolo e, nella sua forma attuale, cioè addobbato, avrebbe avuto origine in Alsazia.
Solo nel 1840, la principessa di Mecklenburg, che aveva sposato il duca di Orleans, figlio di Luigi Filippo, introdusse l’albero di Natale alle Tuileries, sotto gli occhi stupiti dell’intera corte. In Italia, fu conosciuto grazie alla Regina Margherita di Savoia, che lo fece collocare in uno dei più importanti saloni del Quirinale.
Pian piano, così, l’albero con le sue ornamentazioni entrò a far parte delle tradizioni natalizie di tutto il popolo italiano.
Tuttavia, nelle Marche fino all’inizio del secolo scorso, più che l’usanza dell’albero, vi era quella del Ciocco, un tronco di albero che, con le stesse virtù di un amuleto protettivo e propiziatorio, doveva bruciare un poco alla volta per dodici giorni, simboli dei dodici mesi dell’anno, le cui ceneri venivano poi sparse nei campi, per tenere lontani gli spiriti maligni, personificati in insetti nocivi, e rendere più fertile la terra.
Chi invece preparava l’albero, lo decorava “con ghirlande di fichi secchi ricoperti di carta stagnola colorata, con mandarini, angioletti di carta e fiocchi di ovatta�?. Ma, a differenza di oggi, allora sotto l’albero non si trovavano i regali: “solo la befana li portava la notte tra il cinque e il sei gennaio, quando si appendeva una calza al caminetto e si aspettava con trepidazione la mattina successiva�?.