SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Proponiamo di seguito una intervista a Julio Cesar Leon, giocatore della Samb che si sta curando da un leggero stiramente per essere al meglio durante la partita con il Napoli.
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Quando hai iniziato a tirare calci al pallone?
A 8 anni scappavo da scuola per andare a giocare al pallone con gli amici.
E’ stato il periodo più bello della mia vita. La sera aspettavo che tutti in casa si addormentassero per andare a giocare al pallone, tipo all’una o alle due di notte. Solo mia nonna paterna si accorgeva di quel che facevo: io sono vissuto con lei perché appena nato i miei genitori si sono separati. Mi diceva che sarei diventato un grandissimo calciatore se avessi continuato ad impegnarmi con tenacia ed umiltà.
Come vivevi in in Honduras a quei tempi?
Mio padre invece voleva che continuassi a studiare per andare a lavorare al Porto, dove lui già lavorava. Anche mio padre e mio zio sono stati dei giocatori di calcio. Mio padre, Benjamin de Leon, era un difensore, lo chiamavano “Indio�? perché era molto alto, con un gran fisico, ed aveva i capelli lunghi. Mio zio, Paolo de Leon, giocava con la squadra della mia città, Porto Cortes, il Platense ed ha giocato in serie A.
Quanti eravate in famiglia?
In casa eravamo in 12, perché vivevo con i miei zii ed i miei cugini. A scuola riuscivo molto bene nel disegno: ancora oggi la mia scuola espone i miei disegni.
Come hai trascorso la tua adolescenza?
Non facevo altro che giocare al calcio. Non ero un bambino “normale�?! I miei cugini si divertivano a giocare tutto il giorno con i videogiochi, io invece andavo a giocare al calcio sulla spiaggia tutto il giorno, anche da solo: mi mettevo a driblare gli alberi di cocco!
Ronaldinho da piccolo si allenava driblando il suo cane. Tu invece gli alberi di cocco!
Anch’io mi divertivo sempre a driblare il mio cane perché gli facevo le finte e lui andava dalla direzione sbagliata. Vincere i dribbling con un cane non è facile perché è veloce ed agile quindi si deve esserlo più di lui.
Come è iniziata la tua carriera calcistica?
Avevo 15 anni quando ho esordito con il “Platense�?, che significa squalo, come lo squalo del bellissimo striscione degli Ultras. Giocavo con il ruolo di mezza punta. Sono stato convocato nelle varie nazionali, dall’under 15all’under 23 che è stata quella che si è qualificata per le Olimpiadi. Avevo 18 anni quando sono stato convocato con la nazionale maggiore, ed ho esordito a Miami contro Haiti (vittoria per 2-1). Con la nazionale abbiamo partecipato anche ai Panamericani, al mondiale under 20 in Nigeria, alla “Copa de Naciones�? e alla “Copa de Oro�?, alle Olimpiadi di Sidney e alla Coppa America. Dopo il Platense sono stato a giocare in Uruguay con il Deportivo Maldonado in serie A, dove siamo arrivati quarti. In Uruguay ho vinto per fur volte il titolo di miglior goal a livello sudamericano.
Come è stata la tua esperienza italiana?
Ho cominciato dalla Reggina ho giocato in B vincendo il campionato e segnando 1 goal e 13 assist. In A con la stessa Reggina 1 goal e 4 assist, mentre in Coppa Italia ho segnato 6 goal. Sono andato a Firenze per 6 mesi, dove ho giocato solo 6/7 partite. Sono andato poi a Catanzaro dove ho giocato 7 partite ed ho realizzato 1 goal. Quindi eccomi a San Benedetto.
Come sei arrivato a San Benedetto?
Sono in prestito alla Samb perché sono di proprietà della Reggina. Il mio procuratore, D’Ippolito mi ha proposto di venire a giocare a San Benedetto prima che iniziasse il campionato, ma io mi trovavo in una situazione difficile perché ero indeciso se rimanere alla Reggina o andare a Catanzaro ed ho preso tempo. In quella squadra c’era un bel gruppo e volevo rimanere, ma non mi davano la possibilità di giocare o di lottare per avere un posto da titolare.
Come ti sei trovato a San Benedetto?
All’inizio ho avuto un po’ di difficoltà, perché il gruppo era giovane e inesperto e non è stato facile per me inserirmi al meglio ed esprimermi al meglio. Dovevo essere molto paziente perché quando sono arrivato il gruppo stava attraversando un periodo molto brutto, in quanto non c’erano risultati. Penso di aver dato alla squadra quel pizzico che mancava: l’ambizione e la voglia di vincere, la mentalità vincente.
Sei stato squalificato per una giornata a causa dell’ammonizione per aver alzato la maglia nell’occasione del goal…
Non credo che questa sia una regola molto giusta, perché ognuno di noi quando segna un gol sente il bisogno di mandare un messaggio o una dedica a un caro o ad un parente che sta male o a cui si vuole bene. Se ci si toglie la maglia sono d’accordo che ci sia ammonizione, ma per aver alzato la maglia mi sembra un po’ troppo.
Cosa c’era scritto sulla maglia?
“Ricordati che Gesù ti ama�?.
Era rivolto a qualcuno in particolare?
A tutti.
Sei molto religioso?
Sì. In Honduras si è diffusa molto la religione Cristiana-Evangelica.
Quali sono le tue aspirazioni per il futuro?
Quello che vorrei adesso, in ordine di tempo, è andare ai play-off.
Poi di poter riuscire a segnare entro il mio 26° compleanno 10 o 13 goals.
Perché contro il Lanciano ti sei innervosito?
Ero molto arrabbiato per la squalifica, non ero assolutamente arrabbiato per i tifosi. Riconosco che il 1° tempo sono stato molto egoista, a volte sbaglio e non riesco sempre a fare bene quanto vorrei. Ero comunque sicuro che a Sora la Samb avrebbe vinto.
Vuoi dare un messaggio ai tifosi sambenedettesi?
Devono assolutamente continuare sempre così che sono stupendi, ma devono essere anche più pazienti specialmente quando le cose vanno male e mi riferisco ad alcuni tifosi della tribuna.