SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si è appena conclusa la XI Rassegna del Documentario – Premio Libero Bizzarri. Una manifestazione che con il cambiamento di data, da luglio a novembre, cerca di stringere maggiormente i legami con il territorio e con i giovani, prossimi realizzatori e fruitori. Il Bizzarri, considerato il più prestigioso premio per la categoria, rappresenta una vetrina per i documentaristi italiani considerando l’interesse del circuito nazionale per la manifestazione. Attraverso un’intervista con Maria Pia Silla, Presidente della Fondazione Libero Bizzarri, cerchiamo di capire quali sono i progetti per il futuro e le aspettative per una rassegna di questo genere.
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La Rassegna del Documentario – Premio Libero Bizzarri ha ormai raggiunto la sua undicesima edizione: come e quanto è cambiato nel corso di questi anni?
La rassegna, che si è sempre caratterizzata per la presenza dei documentaristi, sta assumendo, in questi ultimi anni, delle connotazioni sempre più caratterizzanti: agli esordi del Premio Libero Bizzarri c’era una maggior contaminazione di registi impegnati sia nel documentario che nelle fiction. Negli ultimi anni abbiamo preferito dedicare la nostra attenzione a quei registi che, se pur impegnati con altre lavorazioni, non hanno mai abbandonato il documentarismo. Il nostro obiettivo è quello di rafforzare la condizione esclusiva di chi si dedica al documentario. Secondo quest’ottica potremmo ripensare anche i grandi registi italiani, ma che non abbiamo mai abbandonato il genere, come Michelangelo Antonioni, un regista che non ha mai trascurato il documentario, suo primo amore.
Come giudicherebbe la qualità delle opere in concorso?
Attualmente la qualità è molto alta, è stato difficile dover scegliere solo trenta opere per la fase finale. Inizialmente arrivavano anche opere che non potevano essere proposte. Oggi invece, i registi hanno quasi un timore reverenziale a partecipare al Premio, considerato il più importante per la categoria, operando una sorta di autoesclusione.
Durante la conferenza di presentazione del Premio, l’assessore alla cultura Bruno Gabrielli aveva posto l’accento sulla difficoltà di portare avanti iniziative, come può essere questa del Bizzarri, con fondi esclusivamente pubblici. In quest’ottica quale può essere il futuro della rassegna?
La sopravvivenza è difficile. Sebbene sia una manifestazione molto accreditata a livello nazionale non richiama l’attenzione delle grandi masse, come altri eventi che si svolgono in Riviera. Ma la nostra non deve essere considerata una proposta di nicchia, ed i grandi registi che sono passati da qui ne sono una testimonianza. Senza finanziamenti sarà difficile dare maggior risalto alla rassegna e arrivare in maniera più capillare ad un pubblico più vasto. Ma non ci siamo arresi di fronte alle difficoltà, tutt’altro. Attualmente è in via di allestimento un sito internet oltre a quello ufficiale della Fondazione Bizzarri (www.ildocumentario.it/bizzarri) in cui catalogheremo e metteremo a disposizione i documentari che ci perverranno (www.fondazionebizzarri.org).
Adesso che due eventi importanti per S. Benedetto, come la Biennale Adriatica di Arti Nuove e il Premio Libero Bizzarri sono stati “destagionalizzati” quale ritiene possano essere le proposte culturali estive?
La nostra è sinceramente una manifestazione che non è necessariamente legata ad un periodo dell’anno. Il cambiamento di data è stato deciso anche per relazionarci al meglio con le scuole, per avere un rapporto più diretto con i giovani. Se è pur vero che eravamo diventati un punto di riferimento per i turisti che sceglievano il loro periodo di ferie in funzione della rassegna, la nostra funzione non è mai stata quella di sostenere il turismo già presente a S. Benedetto. Non credo che d’estate sia necessario proporre qualcosa di basso livello solo perché interessa il turista che trascorre a S. Benedetto solo un periodo limitato. Ritengo si possano fare delle ottime proposte. Ci sono molti spettacoli che trovano la loro ragion d’essere proprio perché si svolgono all’aperto.
S. Benedetto era stata definita un ‘deserto culturale’. Secondo lei ora in quale direzione si sta andando?
Non c’è dubbio che stiamo rischiando di tornare ad essere ‘deserto culturale’, soprattutto se si continuerà a pensare alla cultura come qualcosa di residuale per l’uomo. La cultura è sempre stata al centro della storia, come ci hanno ricordato le recenti Olimpiadi ad Atene. Da quando ha iniziato a scrivere l’uomo ha sempre prodotto cultura. Senza la giusta attenzione e considerandola come qualcosa di effimero si rischia di ricadere nel vuoto.
Quali ritiene possano essere le iniziative su cui dovrebbe puntare S. Benedetto?
S. Benedetto dovrebbe riuscire a trovare la propria caratterizzazione. Io non sono stata favorevole all’allestimento delle mostre che hanno interessato il nostro territorio nel corso degli scorsi anni perché non hanno lasciato alcuna traccia nella nostra città. Dobbiamo essere noi i propositori e cercare delle iniziative prodotte da noi. Faccio un esempio: nella nostra regione ci sono molte produzioni di moda, che potrebbero dar vita ad un evento analogo alla famosa “Sfilata sotto le stelle” che si svolge ogni anno in Piazza di Spagna a Roma. Bisogna scegliere una manifestazione che permetta di creare un momento di genere e caratterizzante; in questo modo se ne avvantaggerebbero la ricerca di settori in recessione, come quelli della moda e della calzatura.
È favorevole alla proposta dell’Assessore Provinciale alla Cultura Olimpia Gobbi circa la creazione di poli specializzati e riconoscibili sul territorio piceno?
Sono assolutamente favorevole. Ho sempre tentato di raccordare le attività di diverse associazioni. Dovremmo riuscire a costituire una rete di collegamento per razionalizzare i costi e ottimizzare i risultati. Ad esempio la nostra Fondazione per mancanza di fondi non può avere un ufficio stampa; se ci fosse un collegamento tra diverse associazioni si potrebbe usufruire dello stesso servizio a costi più contenuti, che permetterebbe di avere una più ampia capacità di comunicazione. Pur nella specificità di ciascuna attività è necessario avere un collegamento. Secondo me ciò su cui si dovrebbe puntare è una programmazione unitaria, una programmazione di sistema.
(L’intervista è in edicola con Sambenedettoggi-Riviera delle Palme News)
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