“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” (articolo 32 Costituzione della Repubblica Italiana).
Se passerà la proposta di qualche magnate di San Benedetto del Tronto per la “Fondazione ospedale” sarà il primo passo verso la privatizzazione della sanità primo in città, poi nelle provincie e dopo nella Regione. Quindi invito tutti i partiti di centro-sinistra, associazioni, girotondini, Organismo di Partecipazione, Comitati di Quartiere, Tribunale per i diritti del malato, Sindacati (Cgil, Cisl, Uil) e a tutti quei cittadini veramente e sinceramente democratici per discutere ed eventualmente organizzarci affinché quest’orribile proposta non passi.
Era la vigilia di Natale di 25 anni fa e l’Italia sanitaria diceva addio al sistema mutualistico (erano 300 le casse mutue dei vari enti), ma già 10 anni prima il film di Alberto Sordi, “Il medico della mutua” ne aveva decretato la fine nella coscienza dei cittadini. Con la legge di riforma (la 833 del ’78), veniva scelta la strada del servizio pubblico, dell’universalismo, dell’eguaglianza di trattamento e del diritto alla salute.
“La persona, la sua dignità e i suoi diritti furono il centro di quella legge”, ricorda Tina Anselmi, allora ministro della sanità del governo Andreotti di unità nazionale (cioè l’appoggio anche del Pci all’esecutivo), “e per la prima volta prevenzione, cura e riabilitazione furono viste nel loro insieme e garantite”. Nozze d’argento con rimpianti per quella “stagione riformista”, sostengono tutti i “padri fondatori, riuniti al Policlinico universitario di Roma su iniziativa dell’ex ministro della sanità dell’Ulivo, Rosy Bindi, che, con l’altro ex ministro Livia Turco, s’affranca a sostenere la continuità tra quel periodo e la sua riforma del ’99.
Quell’inverno di un quarto di secolo fa non era certo facile: il 78 è l’anno del sequestro e dell’omicidio del presidente della Dc, Aldo Moro e della sua scorta da parte dei terroristi delle Brigate Rosse, anno di sangue, dopo le lotte operaie e studentesche. E Giovanni Berlinguer, allora responsabile della sanità nel Pci, inquadra la riforma sanitaria in quel clima di difficoltà ma anche di conquiste: “Venivamo da dieci anni di lotte sindacali, scioperi generali con slogan come “la salute non si vende”; il movimento contro i manicomi, che portò proprio nel ’78 alla legge Bisaglia, la 180, e poi la stagione delle donne e la legge sull’aborto. Un anno cruciale quel ’78, l’anno delle dimissioni anticipate del presidente della Repubblica Giovanni Leone (dopo il libro di Camilla Cederna) e dell’elezione a Sandro Pertini, della morte di papa Paolo VI e poi di papa Luciani e dell’elezione di Giovanni Paolo II, ma anche l’anno che vide il trionfo di Margaret Thathcer in Gran Bretagna, mentre l’imprenditore Berlusconi fondava l’holding Fininvest. “Era cambiato il vento, si ruppe la solidarietà nazionale”, commenta Berlinguer.
E qui comincia quello che per i “padri fondatori” fu il primo tradimento della riforma sanitaria. Nel governo che nasce, ad attuare la 833, viene nominato come ministro della sanità Renato Altissimo, esponente dell’unico partito (i liberali) che l’hanno osteggiata. Lo ricorda la Anselmi, ancora piccata, lo dice la democristiana Maria Eletta Mrtini, allora presidente della Commissione parlamentare che varò il testo della legge: “Avevamo concluso un lavoro durato anni, in un clima difficile, attuando il principio costituzionale dell’articolo 32 (vd in alto). Finito il patto e la coesione, mutò il clima: s’avvio, di fatto, il fallimento”.
Un pessimismo che arriva fino agli anni ’90 con quella che Rosy Bindi (e non solo) chiama “controriforma De Lorenzo”, anche se i governi erano quelli del rigore di Ciampi e Amato. Da Usl ad Asl, è l’epoca dell’aziendalismo, l’attenzione all’economia e ai buchi di bilancio con i continui “ripiani” dei debiti (com’è successo qui da noi nelle Marche), terrorismo contabile, una sorta di liberismo pidocchioso che confonde nomi e fini, chiamando azienda anche un ospedale.
E oggi? Ci si chiede se “la salute è ancora un diritto di tutti!”. La “colpa” è del governo della Regione Marche (del ministro all’economia Giulio Tremonti e del ministro Girolamo Sirchia), vera “padrona” della sanità (dicono molti cittadini). Con i livelli essenziali d’assistenza, previsti da qualche tempo “al ribasso”. Restano (e resteranno) le differenze tra servizi erogati nelle diverse provincie: vero deprofundis alla riforma il quale garantiva equità e unicità dei servizi da Nord a Sud.

Tonino Armata
San Benedetto Tr. 09 gennaio 2004