É possibile, con il cinema, ricordare e testimoniare l’11 settembre ad un anno di distanza? E come si fa? 11 registi hanno raccolto la sfida, firmando ciascuno un episodio di dieci minuti destinati a comporre il mosaico 11 settembre 2001 (presentato fuori concorso a Venezia 2002).
L’iraniana Samira Makhmalbaf decide di raccontarlo attraverso una scolaresca di bambini e una insegnante che li invita ad un minuto di raccoglimento, dopo averne dolcemente stimolato la presa di coscienza. Sean Penn mette in scena Ernest Borgnine, anziano vedovo, che assiste all’improvviso sbocciare iperrealista di un mazzo di rose in un vaso quando la luce lo raggiunge dopo il crollo di una delle torri di fronte alla quale si trova il palazzo in cui abita. Alcuni scelgono di raccontare storie di finzione o di scovarne di vere e sconosciute, legate con un tenue ma più indelebile filo alla tragedia. Lelouch immagina la storia di una sordomuta, il cui compagno, un esperto del suo linguaggio di segni, quella mattina, accompagna un gruppo di non udenti in visita alle torri (in un allucinazione silenziosa la donna lo vedrà ignara ritornare coperto di polvere per il crollo che gli spettatori, ma non lei, hanno seguito di fronte ad una tv accesa nel suo appartamento).
L’indiana Mira Nair ricostruisce la vicenda assurda di uno scomparso, Salmad Hamdani, di origine pakistana, per un po’ ritenuto un terrorista datosi alla clandestinità subito dopo l’attentato e poi ritrovato tra le vittime: ricercatore universitario, ex cadetto di polizia, era accorso in aiuto a Ground Zero invece di recarsi al lavoro. Youssef Chahine, autore egiziano di fama internazionale, ingaggia con il fantasma di un marine ucciso in un attentato in Libano un confronto sulle ragioni degli sfruttati e le responsabilità degli sfruttatori del pianeta. L’israeliano Amos Gitai immagina la grottesca diretta di una telecronista sul luogo dell’attentato di una kamikaze palestinese, in contemporanea con quello delle torri gemelle.
Il regista del Burkina Faso, Idrissa Ouedraogo, filma un gruppo di bambini del suo paese, credendo di aver individuato Bin Laden nella folla del proprio villaggio, immagina come potrebbero essere utilizzati i 25 milioni della sua taglia (utilissimi per combattere AIDS, malaria e meningite nella loro terra). Danis Tanovic mostra le piaghe quotidiane ancora aperte dei conflitti dei Balcani, nello stesso giorno del crollo. Ken Loach fa scrivere ai parenti delle vittime un’immaginaria lettera di cordoglio da parte di un reduce del golpe cileno (che avvenne proprio lo stesso giorno: 11 settembre 1973, anche quello un martedì), trovando la strada giusta per coniugare la fermezza della politica con l’emozione della solidarietà umana. La persona che scrive può piangere le proprie vittime, cadute in nome della guerra finanziaria di Kissinger e della CIA, allo stesso modo in cui i congiunti dei morti del World Trade Center possono piangere i propri uccisi dalla guerra mistica di Bin Laden.
L’immagine più bella è quella del finale della Makhmalbaf, in cui la maestrina porta gli alunni iraniani di fronte a un’altissima ciminiera, dalla cui sommità si leva un fumo nero. L’unico episodio che tenti di usare le famosissime news della diretta per riempire di immagini e suoni il grande schermo, è quello del messicano Inarritu (uno schermo buio con brevissimi lampi impressionanti dei corpi che cadono dalle torri come stracci). Ma l’episodio più felice è forse quello del giapponese Imamura che racconta una storia che non c’entra niente (niente?), ovvero quella di un reduce della seconda guerra mondiale il cui fanatismo porta a identificarsi con un serpente. La frase finale del film è proferita da un serpente in carne e ossa, il cui messaggio regala un monito salutare: “Nessuna guerra è santa”. Secco, lapidario, severo.
Ingresso riservato ai soci con tessera F.I.C. (adulti: Euro 7,00; sotto i 20 anni: Euro 3,50)
Biglietto d’ingresso: Euro 4,50
Cineforum SBT Buster Keaton
Via Filippo Turati,44 – 63037 San Benedetto del Tronto – tel. fax 0735 65.86.41 – paopiero@tiscali.it
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