Espressivi, cocciuti, noir. In una sola parola, creativi. Gli Endura all’anagrafe sono Giorgio Ferrero (26/02/1980) voce, chitarre, basso, sintetizzatori, drum machine; Luca Bello (17/01/1977) cori, chitarre; Paolo Bergese (26/09/1978) basso, glockenspiel; Raffaele Balocco (20/03/1976) batteria, percussioni. Ovvero quattro ragazzi del cuneese che, a partire dal marzo ’95, hanno dato vita ad un progetto musicale ben definito con le sfumature tipiche delle atmosfere pop italiane, del noise americano più melodico e del guitar pop britannico degli anni Ottanta. I testi delle loro canzoni sono velati di un impressionismo decadente, quasi mistico, con argomentazioni che partono dalla vita quotidiana per poi congiungersi a profonde riflessioni e viaggi cerebrali. Dopo una naturale evoluzione portata avanti con lo spettro dei conterranei Marlene Kuntz, il gruppo ha raggiunto una forte identità musicale che può essere targata solo con il nome Endura. Quindi un’autonomia che rende onore a Giors, Pol, Luca e Lele, artisti generosi, sinceri e disponibili al dialogo, tanto da aver realizzato un sito Internet che considerano come loro casa ideale, “un contenitore di creatività e rapporti umani”. Perché Endura è un progetto che si nutre di musica, ma nello stesso tempo riesce a volgere lo sguardo ai mondi paralleli dell’arte multimediale, coinvolgendo così nella sua incessante attività cerebrale anche fotografi, grafici, registi. Il risultato? “Due Complesso”, un disco importante che ha segnato la svolta del gruppo, e il videoclip “Idro”, nominato miglior video italiano indipendente 2000 al MEI. Un ottimo risultato. E nel frattempo Endura cresce, matura, diventa una fonte inesauribile di emozioni, energia pura. Sotterranea li applaude come vincitori dell’edizione 2002, mentre un master di tredici pezzi è in attesa di trovare una distribuzione nazionale e una buona un’etichetta. Il titolo? “Le mots, la nuit, la danse”. Perchè Endura è anche poesia.

Come nascono gli Endura?
Giorgio: Gli Endura sono nati ufficialmente intorno al ’97, ma l’incontro e l’intento di fare musica si era manifestato già da un paio d’anni, quando si iniziavano a fare le prime prove, a parlare di musica, a comprare dischi. Eravamo tutti studenti delle superiori, tra Fossano e Cuneo, e il nome è nato durante una lezione di storia in quarta liceo. La pratica ascetica dei catari è affascinante, l’“endürà” consiste nell’abbandonarsi allo spirito, al perdere qualsiasi contatto con la materialità dell’essere umano, con una conseguente morte per fame, in un continuo stato di trance catartica che può portare persino al suicidio per una esigenza di immaterialità, di stasi aurea. La formazione attuale ha circa sei mesi di vita: Marco Oliva, il primo batterista, ha infatti deciso di abbandonare il progetto nel luglio scorso per una esigenza personale e plausibile che noi abbiamo accettato, anche se a malincuore. Conoscevamo Lele da tempo, così gli abbiamo proposto di intraprendere questo viaggio insieme.
Una frase o tre aggettivi per definire la vostra personalità.
Raffaele: E’ difficile dare aggettivi, forse non ne basterebbero cento o forse neppure uno. Per ora il gruppo è molto affiatato e spero che continui così, in modo da poter fare ancora molta strada insieme.
Paolo: Siamo quattro persone che pensiamo ad un progetto, piangiamo, sudiamo.
Giorgio: Espressivi, cocciuti, noir.
Musica “da vespro”, impressionismo decadente, inflessioni noise, testi criptici. Ma soprattutto grande originalità nella ricerca di nuove linee melodiche. Quali messaggi racchiude il mondo degli Endura?
Giorgio: Credo che si possa rispondere con una sola parola: creatività. Non ci poniamo limiti di generi, di strumenti, di modelli, di forma o di sostanza, quello che facciamo è sfruttare i nostri strumenti – e spesso anche quelli degli altri – per esprimere le nostre sensazioni. Non importa se Pol suona il basso o il glockenspiel o una tastiera, se Lele percuote delle pentole o suona uno swing, se Luca suona la chitarra elettrica o classica accordata o scordata, se io rompo delle bottiglie o dei piatti di carta o se faccio arpeggi classici e scale di pianoforte. L’importante è costruire un mondo sonoro intorno ad un messaggio, creare un canale per una sensazione, senza forzature e pretese, nel modo più naturale possibile. L’unico fine è emozionarsi ed emozionare.
Siete conterranei dei Marlene Kuntz e, per certe sfumature, la vostra musica ha avuto dei richiami simili alla loro. Con l’attuale merito, però, di percorrere una strada autonoma tale da rendervi indipendentemente originali nelle vostre sperimentazioni artistiche. Nonostante ciò alcuni critici continuano a riferirvi a loro: vi pesa questo accostamento?
Giorgio: Siamo conterranei anche di GianMaria Testa e dei Lou Dalfin: del primo richiamiamo l’amore per gli strumenti e i concerti acustici, che affrontiamo da sempre, l’istinto cantautoriale, i versi malinconici; mentre l’amore per la birra ci riporta ai secondi. I Marlene Kuntz sono un grande gruppo che ha dimostrato coerenza, pertanto degno di stima e ammirazione. Credo, però, che gli Endura siano una realtà diversa: i Marlene non usano sintetizzatori, chitarre acustiche, contrabbasso, pianoforte, percussioni, voci distorte. Noto una differenza di forma evidente e l’unica somiglianza è il numero dei componenti del gruppo e i chilometri di vicinanza delle nostre case, a parte il fatto che io vivo a Torino per motivi di studio e Lele ad Alba per motivi di lavoro.
Paolo: Endura cresce con il fantasma dei Marlene addosso e si adegua al primo demo
alle loro idee e parole. Endura cresce di età e capisce che in Cuneo e fuori
i Marlene sono importanti ma non sono gli unici, ci sono realtà migliori e più
mature di una chitarra sempre distorta. Dopo una continua ricerca personale, non targata MK, siamo stufi di essere etichettati per il timbro postale. Perché è questo che viene fatto.
Luca: Il fatto di provenire dalla stessa città dei Marlene non ci condiziona per niente. Il problema è che condiziona la gente con poca fantasia e competenza che – per mancanza di idee – attribuisce ad ogni luogo un gruppo modello, quindi se fai musica vieni inevitabilmente comparato al riferimento imposto. A livello personale stimo molto i Marlene, ma questo non vuol dire che bisogna necessariamente prendere spunto dalla loro musica o, peggio, plagiarli.
Musica e arte multimediale, due temi molto cari agli Endura. Infatti nel giugno del ’99 avete realizzato un sito Internet che vi ha impegnati in un progetto parallelo volto a coinvolgere fotografi e grafici, fino alla svolta decisiva con la nascita del nuovo disco “Due Complesso” e il videoclip del brano “Idro”, opera del giovane regista Carlo Cagnasso…
Giorgio: www.4endura.com è la nostra casa ideale, è un contenitore di creatività e rapporti umani. Oltre alla sezione informativa riguardante il gruppo c’è una sezione dedicata ad ENDURAWEB, il nostro progetto di collaborazioni artistiche e di gallerie d’arte multimediali suddivise in quattro categorie: video, fotografia, disegno, grafica. Il video “Idro” – nominato come miglior video italiano indipendente 2000 al MEI, e settimo in classifica in dicembre 2000 tra gli indipendenti su Match Music via satellite – è il primo di una serie di cortometraggi, video, collaborazioni che ne sono nate. Stiamo presentando in tutto il Nord-Centro Italia un concerto che prevede la proiezione di dieci cortometraggi e di una mostra fotografica. Crediamo che promuovere la propria espressività con mezzi diversi sia molto interessante e permetta di raggiungere sensibilità e canali altrimenti difficilmente accessibili.
Quali sono i vostri “miti” musicali?
Giorgio: Se veramente qualcosa va definito come “mito”, allora credo che solo la musica e l’arte possano calzare. Ascoltiamo moltissima musica ed ognuno di noi ha passioni diverse. I miei punti di riferimento rimangono i Radiohead, i My Bloody Valentine, i Deus e la scena belga, – la scena tedesca di indie pop – Notwist e Lali Puna in primis -, gli Stereolab, Nick Drake, la new wave in generale – chiave della mia formazione sono Pornography dei Cure e Closer dei Joy Division – il New Acoustic Moument – Belle and Sebastian, Tom McRee, King’s of Convenience, I am Cloot – la neo psichedelia – i Motorpsycho, i Mercury Rev. Per quanto riguarda l’Italia: Paolo Conte, gli Scisma, i Massimo Volume, i primi Marlene, Il Grande Omi, gli Afterhours di “Hai paura del buio?”, i Three Second Kiss, i Giardini di Mirò.
Paolo: La new wave, il dark dai Joy Division ai Cure. Per quanto riguarda l’Italia: gli Scisma, i Massimo Volume, i Divine, Cristina Donà. Musica cantautoriale: Paolo Conte e GianMaria Testa. Per il “commerciale” mi piace molto Carmen Consoli.
Luca: I miei ascolti musicali sono molto variegati. Adoro i Depeche Mode fin dai loro esordi e la musica anni ‘80 in generale, con gruppi come Duran Duran, Cure e tutta la new wave. Hanno avuto un’influenza molto grande i gruppi della scena underground anglosassone come My Bloody Valentine, Sparklehorse, Mercury Rev, Six by Seven e tutti gli altri. In Italia piango ancora lo scioglimento di Scisma e Massimo Volume, anche se piano piano stanno venendo fuori realtà come Cristina Donà e Marco Parente.
Il Festival di Sanremo è davvero una buona vetrina per i gruppi emergenti? Gli Elettrodust di Ascoli Piceno, vincitori di due edizioni di Sotterranea, hanno partecipato alla rassegna musicale “Sanremo Rock & Trend”. Alcuni gruppi locali della nostra zona parteciperebbero volentieri tra le Nuove Proposte. Gli Endura?
Giorgio: Trovo “Sanremo Rock” un concorso poco corretto perché fa pagare una iscrizione assurda ai gruppi partecipanti – nell’ordine di centinaia di mila lire – quando la Rai spende miliardi su miliardi per il festivalone. Se è in questo modo che si intende promuovere la cultura giovanile, ovvero speculando, no grazie. Sanremo ha creato uno standard d’ascolto radiofonico e mediatico per la cultura italiana che assolutamente non ne valorizza lo spessore artistico ma, anzi, alimenta il music business. Un esempio per tutti: le Lollypop. A Sanremo, almeno nel 90% dei casi, non si fa cultura ma si crea mercato. E questo deve essere chiaro. Il giorno in cui vedrò Manuel Agnelli, Paolo Benvegnù, Marco Parente, Giovanni Lindo Ferretti, fare un brano voce e chitarra acustica del calibro di “Dentro Marylin”, “Indissolvenza”, “Forma e Sostanza”, allora mi ricrederò. Mi basterebbe anche solo un Gianluca Grignani che canta “La Fabbrica di Plastica”.
Ottimisti o pessimisti?
Giorgio: Romantici.
Paolo: Pessimisti di natura, ma solo per autodifesa. In questo modo ogni occasione che va bene significa essersela meritata.
Progetti futuri?
Giorgio: Abbiamo appena terminato la registrazione di un master di tredici pezzi con la produzione artistica di Paolo Benvegnù degli Scisma, uno degli artisti italiani che più stimiamo, e speriamo di trovare una distribuzione nazionale e una buona etichetta per promuoverlo e presentarlo in tutta Italia. Ci auguriamo di vedere presto nei negozi il nostro “Le mots, la nuit, la danse”. Intanto proseguiamo con i concerti e la proiezione dei cortometraggi, che sono partiti a dicembre con Lugano, Bergamo, Imperia, Pavia, Milano, e proseguiranno il 3 aprile al Vjeco Rincon di Torino, il 4 al Fitzgerald’s di Cuneo, il 13 al Cpa di Firenze, il 14 al Thermos di Ancona, il 20 allo Zion di Chiasso, e in maggio toccheranno altre città. Per quest’estate spero che vada in porto una collaborazione live con i Valery Larbaud, con cui abbiamo partecipato alle semifinali e alle finali di Sotterranea. Sono un gruppo che ha moltissimo da dire e con una grande energia. Ringraziamo Sotterranea per averci dato l’opportunità di misurarci con artisti del loro calibro.
Un sogno nel cassetto.
Luca: Avere un cassetto!
Giorgio: Da grandi poter vivere di musica.
Cuneo offre possibilità ai gruppi emergenti?
Luca: Cuneo non offre grandi possibilità di emergere soprattutto per mancanza di strutture adeguate per le esibizioni, elemento fondamentale per farsi conoscere e apprezzare. In termini di strutture non intendo solo i locali che permettono di suonare in maniera adeguata, ma anche a livello organizzativo per quanto riguarda le manifestazioni. C’è una forte carenza di partecipazione sia da parte del pubblico, che si muove solo per i grandi nomi, che di interesse istituzionale. Tutto ciò non si verifica dal centro Italia in giù e, con grande piacere e soddisfazione, abbiamo constatato una buona partecipazione ad Ascoli per Sotterranea.
Paolo e Giorgio: Pensiamo che la musica vada vissuta come un piacevole lavoro in cui più ti impegni più hai possibilità e numeri per essere considerato. A Cuneo si vive sugli allori – quali poi? – e non nella ricerca estetico artistica che deve essere alla base di ogni artista. Un creativo si mette sempre continuamente in gioco, ogni istante in ogni sua opera, ogni giorno in ogni azione. Non si ricerca la gloria cittadina, ma la soddisfazione di essere riusciti ad esprimersi e ad essere capiti. Se si parla di arte bisogna uscire dalla filosofia del “macchinone”, dalla mentalità da Bar dello Sport, dalle domeniche al supermercato, ma ritrovare la malinconia di una vita difficile. Quindi non essere vittime della propria noia per poi svegliarsi a novant’anni nella più grossa desolazione possibile e lasciare il mondo senza aver mai vissuto, entrare in una perversa depressione eterna e non essere nemmeno riusciti a ficcarsi una pallottola in testa. E’ necessario possedere l’istinto che permette di piangere alla vista di un albero devastato dalla vita di una statale, quando le foglie ormai sono stanche di aggrapparsi. Bisogna avere l’energia per reagire all’indifferenza della gente, la capacità di emozionarsi di fronte al mondo, alla sua malinconia o alla sua gioia. Questa è la chiave della nostra serenità, perché questa è vita: “perché anche il ricordo della gioia ha la sua amarezza e quello del piacere il suo dolore” (Oscar Wilde, ndr).
Nulla di più vero. Concludiamo con Oscar Wilde?
Con lui e con due parole di gratitudine. Endura ringrazia l’ottima organizzazione di Sotterranea 2002, le capacità di Franco Cameli, l’amicizia, la disponibilità e la stima reciproca dimostrata da tutti i partecipanti, la trasparenza della giuria. E, naturalmente, ringraziamo te per l’opportunità che ci hai dato con questa intervista.
Grazie a voi.
(rositaspinozzi@tin.it)