SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Forse nessuno come questo giornale e anche lo scrivente è stato duro, e quindi sincero e spassionato, nel giudizio assegnato dal tempo all’Amministrazione Gaspari e al sindaco in particolare. Un impasto di vecchia politica, piccole ambizioni, consiglieri che alzano la paletta a condizione che, molti disastri. Pessima gestione di cui poi si è fatta carico la giovane vecchia Sabrina Gregori, che in un anno e mezzo di reggenza del Pd sambenedettese si è rifiutata di farsi intervistare da questo giornale, in un delirio di servitù neppure giudicabile.

Eppure al peggio non c’è mai fine, si dice. E quindi Giovanni Gaspari non è neppure quell’uomo solo al comando che le nostre cronache hanno dipinto in questi anni. Gaspari è l’esatta espressione del nulla della politica (sambenedettese) dei nostri anni.

Nel 2009, almeno, ad analoga crisi di maggioranza, il sindaco imbarcò tra gli altri il repubblicano Felicetti che sottopose, come clausola pubblica per appoggiarlo, un vero vademecum di richieste. Gaspari gli disse sì, Felicetti lo salvò, ma delle sue richieste a distanza di anni l’unica accettata è stata la modifica dei parcheggi sul lungomare. Gaspari 10, Felicetti zero.

La vicenda invece che coinvolge il capogruppo del Pd Claudio Benigni è composta di cinque lettere. Enne, u, elle, elle, a. Nulla.

Benigni, e il cosiddetto Pd portodascolano (Pasqualini, Evangelisti, forse anche Zocchi) è stato l’emblema dell’appoggio alle scelte di Gaspari, qualsiasi cosa facesse: pensiline fotovoltaiche, caos stadio, figuraccia Grande Opera, inazione Ballarin, collasso Prg, condanna Corte dei Conti, eccetera eccetera. Non capendo, o capendo molto meglio di noi, che la politica, anche quella di maggioranza, non significa appoggio incondizionato. La politica deve essere anche pungolo, stimolo, critica. Anche dalla maggioranza. Invece no.

Fino a che lo stesso Benigni, candidato al Consiglio Regionale, ha registrato l’inattesa, per lui batosta. E a quel punto è avvenuto ciò che in giunta si prefigurava: guerra al sindaco. Inspiegabili – o spiegabilissimi – i motivi, tutti banali: perché sia il sindaco che il resto della giunta e del consiglio di maggioranza si sono spesi proprio per cercare di far eleggere Benigni, consapevoli che, in caso di flop, il consigliere del Pd avrebbe potuto usare la sua forza come arma di ricatto.

Allora, se il Pd è un partito che vuole fuggire dal nulla, che vuole alzarsi sopra il livello becero della politica di questi anni, ha una sola soluzione: chiedere l’espulsione di Claudio Benigni e nel caso di chi lo appoggia perché usa il suo ruolo civico di consigliere comunale, e le stesse istituzioni sambenedettesi, per questioni di natura personale.

Cinquanta mila cittadini non possono essere messi sotto scacco in questo modo. Questo va urlato chiaro e forte non solo dai giornalisti che il sindaco rifiuta di incontrare senza che nessuno in tutto il Consiglio Comunale alzi un ditino di disgusto. Questo va urlato anche dentro i partiti.

Quanto sta avvenendo è probabilmente il punto più basso della politica sambenedettese degli ultimi 15 anni. Far comprendere ai giovani che le istituzioni non sono luogo per affermazioni, invidie e gelosie personali ma un luogo di servitù del bene comune e che chi non si comporta adeguatamente non deve più usurparne il seggio è l’unico modo che il partito ha per riscattarsi agli occhi della cittadinanza e per dare un segnale di civismo del quale si ha bisogno.

Ovviamente lo speriamo ma non ci crediamo. D’altronde in tutti questi anni questo è stato l’humus della politica sambenedettese: che esca un fiore da questo terreno sarebbe forse più impossibile che miracoloso.