SAN BENEDETTO DEL TRONTO – C’è vita oltre i talk show politici? Pare proprio di no. Almeno a detta di Italo Moscati, che vede nella marea di dibattiti in tutte le reti e a tutte le ore della giornata una mera questione di necessità: “E’ un fenomeno che si morde la coda, non c’è novità. Fare la tv costa sempre di più, la fiction ha bisogno di grandi capitali, di attori, di mesi di riprese e di montaggio. Il talk è un modo di turare il vuoto, di contenuti e di forme”.

Giornalista, regista e sceneggiatore, Moscati – in questi giorni a San Benedetto nell’ambito delle rassegne ‘Piceno d’Autore’ e ‘Scrittori sotto le stelle’ – è anche una figura di spicco nel mondo televisivo e radiofonico.

“Non abbiamo forme nuove, ma adattate”, prosegue. “La chiacchierata, l’intervista e il talk non fanno altro che ripetere forme del passato. Una volta c’erano le tribune elettorali, i dibattiti, ma non avevano la parola show attaccata. Lo show ha concesso una libertà che non è creativa, è bensì la libertà di dire qualunque cosa impunemente. Esistono gli autori, però è raro che da questi talk saltino fuori robe interessanti. Anzi, direi che è il regno della confusione, della distruzione delle idee, delle ripicche, delle polemiche, delle apparenze”.

Con gli ospiti che, a rotazione, sono sempre gli stessi.

“Sì, perché è una compagnia di giro. Le compagnie di giro erano formate da teatranti che andavano in giro per l’Italia e recitavano i grandi personaggi della drammaturgia. Adesso ci sono i testi della politica e della rissa. Ogni incontro molto spesso finisce in sovrapposizioni, in cose incomprensibili e improvvisate. Manca anche la conduzione”.

C’è qualcuno che salva?

“In alcuni casi si prova ancora a imporre uno stile di conduzione. Ad esempio ci prova Giannini a Ballarò, così come Floris a DiMartedì. Danno un senso al programma, a volte ci riescono, a volte no”.

DiMartedì le piace?

“Si è sveltito un po’ rispetto alla tradizione. Forse è il talk più serio e meglio costruito. Floris è una persona che ha una mentalità abbastanza precisa. Organizza in modo che non ci sia troppo didascalismo, ma che si capisca qualcosa. Ha maniere non aggressive, anche se a volte per tenere il passo con gli altri conduttori cerca di prendere pure lui la prima posizione e di guidare il gioco. Il genere del talk non ha futuro, se non in peggio. Occorrerebbe recuperare un’impostazione, un ragionamento, una misura, i giusti ospiti. Sulla vicenda della Grecia non noto persone che parlano conoscendo la situazione. Vedo che parlano in nome delle liti di casa. I talk stanno perdendo pubblico; restano in piedi perché una serata si riempie meglio così”.

Gradisce lo stile di Enrico Mentana e delle ‘maratone’ di La7?

“Mentana è abbastanza bravo, ma a volte fa trasmissioni troppo lunghe. Le persone che intervengono non sempre sono orchestrate in modo giusto. Penso che sia un genere fortemente in crisi, però non ci sono alternative, non le vedo per il momento”.

Del Debbio, seppur aspramente criticato, ha comunque il merito di aver intercettato un nuovo target di pubblico, fino a quel momento distante dal genere.

“Del Debbio ha un suo modo di fare che non si discosta molto dagli altri. Ha un suo aplomb, pure lui tenta di fare show, cercando di dire al contempo qualcosa di sensato. Tuttavia, fa parte del gruppo, non lo terrei fuori. Non lo giudico negativamente, ma il giornalismo – inteso come tentativo di spiegare al realtà con le inchieste – è messo fuori dalla porta. E’ tutto improvvisato, in una serata si sviluppano tanti temi, si genera confusione e la confusione porta male, porta cattive idee e superficialità, caratteristiche della tv d’oggi. Per molti anni la tv ha trovato la strada per realizzare cose di valore, non bisogna tornare troppo indietro con la memoria per cercarle”.