Dunque c’è una “Coalizione Sociale”, con Maurizio Landini, segretario Fiom, alla guida. Per ora è una sorta di organizzazione sindacale e, appunto, sociale, con l’obiettivo di fare politica fuori dai partiti. Chiaro che questa traccia ha l’ambizione di diventare uno schema e di selezionare una nuova (vecchia?) classe dirigente da poter poi contrapporre ai partiti attualmente in parlamento. Anche se Landini glissa e scherza sulla parola “partito”.

La mossa di Landini è intelligente – con i rischi in essa insiti – sia per il momento in cui viene presa sia per il metodo intrapreso. Si mira a difendere un blocco sociale classico, quello dei lavoratori dipendenti, che non ha più riferimenti politici; si entra nell’agone politico mentre il M5S è in forte crisi; Landini è un volto noto e quindi il classico “leader” da “telecomunicazione”. Non mette la cravatta come Tsipras e Iglesias di Podemos, anche se è più anziano del greco e dello spagnolo.

I rischi più grandi di questo tentativo sono due:

– la ricerca di creare la classica e un po’ stantia “cosa” di sinistra. Se l’obiettivo infatti è il recinto alla sinistra del Pd, non si confonda l’Italia con la Grecia o la Spagna. Una forza di minoranza che mira ad allearsi o a gareggiare con il Pd avrà dalla sua, sempre, l’utopia degli obiettivi enunciati, ma difficilmente la possibilità di affermarsi alle elezioni. L’Italia è diversa, la storia lo dimostra. Per molti versi è culturalmente unica. Positivamente, si intende: l’impresa diffusa è la ricchezza della vera democrazia.

– l’assenza di una vera critica all’autoritarismo europeo, il che implica non solo dichiarazioni di facciata ma precisi impegni sia in ordine ai trattati sia in ordine alle trattative a cui si sarebbe costretti, e quindi non vergognarsi di difendere l’ordine statale costituzionale a fronte del sovvertimento della Commissione Europea  e della Bce (perché nel 2015 bisognerebbe vergognarsi se non si diffonde tra la popolazione la consapevolezza di trovarsi in una “dittatura finanziaria e di grandi imprese“, come dice il sociologo tra l’altro di sinistra Luciano Gallino).

Non sono soltanto i lavoratori dipendenti sotto attacco. Non è solo il proletariato classico, i subordinati. Qui l’attacco è al sistema Italia, come si era affermato dal 1946 al 1992 (o 1978). Qui, dopo aver fortificato il recinto, occorre cogliere lo sguardo dei piccoli imprenditori, delle partite Iva, dei precari e di chi ha l’ambizione di avviare (o difendere) un’impresa propria e non riesce prima di tutto per la tirannia che ha parvenza pubblica ma che ha l’animo chiamato eurocrazia e mercati finanziari.

Soltanto se si ha l’ambizione, la forza, l’intelligenza e l’umiltà di unire i due contesti, di convogliarli in una lotta comune e liberatoria con vantaggio reciproco, richiamandosi alla Costituzione Repubblicana, allora si potranno davvero intimorire gli scialbi burocrati e signorsì alla Roberto Speranza e, meglio ancora, gli estremisti finanziari e anti-democratici del “vincolo esterno“.

Chi è così arguto politicamente da unire queste due sponde – come per altro tentano in Italia tutti i partiti di governo, dal Pd a Forza Italia a quanto accarezzato da Grillo – riesce a ribaltare lo stato delle cose e a risultare veramente pericoloso per il potere che oggi sta a Bruxelles, Berlino e nei bit carichi di informazioni finanziarie.

Di fatto se il M5S riuscisse a capire l’occasione che gli si offre (una auto-rigenerazione), invece di chiudersi in un lento spegnimento (la “spallata” è fallita, Grillo è passato alle interviste salottiere al Corsera), dovrebbe cercare immediatamente un incontro con la “Coalizione sociale”. Il M5S nasce in altra epoca storica, precedente alle austerità europee, sull’onda dell’anti-berlusconismo e anti-casta e con un’azione ambientalista ma tutto sommato dentro le logiche neoliberiste, pur spesso contestate senza tuttavia giungere alla definizione di uno scenario alternativo. La carica “sovversiva”, nella forma più che nei contenuti radicali, è sfumata ormai, sull’euro ci si è mossi con grave ritardo.

Serve un inaspettato “arrocco”, la mossa degli scacchi in cui Re e Torre si muovono fuori dalle regole classiche del gioco. Concessa una sola volta in una partita.

Se l’arrocco non ci sarà, la “cosa” di Landini rischia di essere l’ennesima riproposizione ridotta e quindi non una alternativa al neoliberismo (che Renzi interpreta in maniera speculativa e speculare rispetto allo stesso M5S) ma addirittura l’ennesimo inconsapevole puntello. Il recinto di sinistra non spaventerà Renzi, così come non lo può spaventare il recinto di destra di Salvini.

Il dissenso messo in congelatore può ghiacciare, per poi addirittura espandersi nella metamorfosi e aprire nuove e inaspettate fessure, dopo un po’ di tempo. Invece in frigorifero marcisce in silenzio, lasciando poi un vago sentore e nulla più.