SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Pubblichiamo di seguito una lettera scritta da Lorenzo Rossi, segretario comunale di Rifondazione Comunista a Grottammare, in merito alla questione Fiat-Marchionne. Tanti, e ricchi di spunti, i commenti relativi al precedente articolo.

Pubblichiamo con piacere la lettera di Lorenzo Rossi auspicando che anche questa serva a produrre ulteriori riflessioni e, perché no, commenti su un tema importante dell’attualità economica e sociale. Nel caso ci fossero inviate altre lettere ricche di riferimenti e documentazioni, non esiteremmo a pubblicarle per consentire, così, il più ampio coinvolgimento possibile.

Caro Direttore,

essendo tra gli organizzatori dell’incontro pubblico “C’è chi dice no”, dedicato alla questione Fiom e svoltosi a San Benedetto martedì 25 gennaio alla presenza di diverse decine di persone, mi ha molto stimolato il dibattito in corso attraverso i commenti all’articolo pubblicato sul Vostro giornale.

Se me lo concede, vorrei provare a rispondere punto per punto, al fine di non sembrare “ideologico”, a tutti i commenti critici verso la Fiom. Mi scuso fin da subito per la lunghezza, ma gli argomenti sollevati sono molti.

Premetto che non faccio il duro lavoro dell’operaio alla catena di montaggio (bel privilegio!), ma sono un semplice precario dei servizi, con prospettive lavorative difficili. Nonostante la mia condizione instabile, credo che non abbia alcun senso farsi la “guerra tra poveri” e che bisogna invece tornare a attaccare i privilegi dei veri colpevoli della crisi, spesso milionari, che risiedono ai piani alti dell’impresa, della finanza e della politica italiana e occidentale.

La battaglia della Fiom riguarda anche me perché non credo che per migliorare la mia condizione di precario (ma anche quella di una partita Iva) sia utile abbassare quella di un lavoratore dipendente. Al contrario, la difesa dei suoi diritti fortifica anche la rivendicazione dei miei. Infatti, più i lavoratori, qualsiasi essi siano (anche autonomi), si sono divisi pensando di curare il proprio orto, più hanno subito arretramenti.

Pertanto pregherei di evitare demagogie brunettiane sul merito, sul pubblico impiego e via discorrendo.

Vengo alle mie riflessioni, scaturite dalla lettura dei commenti.

PRODUTTIVITA’. Se è vero che in Italia la produttività non cresce ciò non è dovuto a presunti privilegi operai, ma principalmente a fattori come le piccole dimensione medie delle imprese, il volume contenuto degli investimenti in nuove tecnologie, il ridotto grado di infrastrutturazione del territorio. Colpe delle imprenditoria e della politica, di certo non dei lavoratori. Del resto, fu Marchionne stesso – e mi sembra che alcuni dei “fan” cui sopra lo confermino – a spiegare che il costo del lavoro incide solo per il 7-8%. Pertanto, che senso ha agire sulla contrattazione come si è fatto a Pomigliano e a Mirafiori e come si vuole fare nel resto d’Italia, a sentire Confindustria?

Inoltre, sono stati il Fondo Monetario Internazionale e l’Ocse, non certo composti da bolscevichi, che in un recente studio hanno confermato che la quota dei salari sul Pil in Italia si è andata progressivamente riducendo a vantaggio del capitale (dal 1980 al 2010 è stato perso dai redditi da lavoro l’11,8%), e ciò ha depresso la dinamica dei consumi di merci e servizi, con ripercussioni negative sulla produzione e sull’occupazione.

Trovo illuminanti le parole di Massimo Mucchetti, il giornalista del Corriere della Sera che ha fatto imbestialire i vertici Fiat (detentrice del 10% del giornale) fino a mettere sotto attacco in questi giorni lo stesso direttore che ha lasciato pubblicare i pezzi: “Per raggiungere l’efficienza tedesca, che garantisce ragionevoli profitti, alti salari e orari europei, va infine aumentato il valore prodotto per ora lavorata, dove il valore è dato non solo dal numero dei pezzi ma pure dal prezzo al quale possono essere venduti. E quest’ultimo non dipende dalle braccia, ma dal cervello. Marchionne ha sì un ciclo produttivo da riorganizzare, ma anche e soprattutto una progettazione da rilanciare senza altre pause e andando oltre il mero scambio di componenti e marchi”. Pertanto, aggiunge Mucchetti, con tali accordi contrattuali, “Fiat esaurisce lo spazio per recuperare produttività agendo sul lavoro, a meno che, strada facendo, non riduca gli organici”. Insomma, dopo questi accordi, spremuto del tutto il limone, non rimane che licenziare.

PAGA DI MARCHIONNE “LO SVIZZERO”. I conti li ha fatti Mucchetti sul Corsera del 9 gennaio scorso. Negli Usa la legge (Dodd Frank-Act) impone di rendere pubblici questi conti. Da noi il silenzio. Il manager, tra stipendio, opzioni e titolo gratuiti, guadagna 38,8 milioni di euro l’anno, pari a 1.037 volte il suo dipendente medio e nel frattempo conserva la sua residenza fiscale nel cantone svizzero di Zug e paga solo il 10% di tasse su gran parte di questi importi. Al di là dei risultati, è qualcosa di eticamente ammissibile? Serve essere comunisti per scandalizzarsi?

Stock-options. Questa forma di pagamento è semplicemente una vergogna, altro che “allineamento degli obiettivi tra manager e azienda”. Perché non si dice che se tali pagamenti sono tassati al 10%, quando un qualsiasi altro lavoratore, subordinato o autonomo, subisce tassazioni almeno triple?

DELOCALIZZAZIONI. La nuova Multipla si fa in Serbia, dove c’è un aiuto di stato. La nuova Ulysse, la 500 elettrica, la nuova Thema e le Lancia si fanno negli Usa. Il Doblò che la Fiat darà alla Opel si farà in Turchia, la nuova citycar si farà in Brasile… In Italia rimane la ormai vecchia Panda, mentre all’ultimo Salone dell’Auto tutti i concorrenti hanno rinnovato il catalogo.

CHRYSLER. Alessandro84 parla di scambio tecnologico, io insisto: “regali”. Infatti, tra le due aziende quella americana era a un passo dal fallire e non aveva un adeguato know how, mentre ora – oltre al salvataggio di Stato con il vincolo a investire negli Usa – riceve gratis dei brevetti dalla “compratrice” Fiat, senza dare nulla in cambio.

CONTRIBUTI PUBBLICI. Gli aiuti al settore automobilistico in Italia fanno abbastanza sorridere, giacché quest’ultimo è praticamente coincidente con il gruppo Fiat. Inoltre, a differenza che negli Usa, questi non vincolano ad investimenti sul suolo italiano. Insomma, ancora soldi nostri per un’azienda che licenzia, comprime salari e delocalizza produzione.

UTILI E NON. Per giustificare gli attuali manager Alessandro84 afferma che “l’azienda fa utili”. Beh, nel 2010 l’utile dichiarato è di 600 milioni, non certo paragonabile a quello dei competitor, e soprattutto è stato garantito non dall’abilità manageriale ma solo dal successo della consociata brasiliana e da una forte ripresa dei veicoli industriali, movimento terra e agricoli. Il tutto però a fronte di un 2009 in cui si sono persi la bellezza di 850 milioni di euro.

SPARTIZIONE DIVIDENDI MENTRE SI PERDE MERCATO. La rivista “Automotive news” ha attestato che nel terzo trimestre del 2010 la Fiat guidava la classifica nella redditività per gli azionisti, con un ritorno complessivo sul capitale del 32,9%, contro un 28,4% della BMW, il 22,6% della Renault, il 15,5% della Volkswagen, il 10,7% della Daimler. Nello stesso tempo, la società era però la prima nella lista relativa alle perdite di quote di mercato in Europa a ottobre del 2010, con una caduta dei volumi pari al 36,4%, contro il 29,3% della Ford, il 21,5% della Renault e il 13% della Renault. Complessivamente la Fiat ha perso in Europa tra il 2009 e il 2010 una quota di mercato pari all’1,1%, scendendo al 7,6%. Ha venduto nel 2010 il 18,8% di autovetture in meno rispetto all’anno prima. Insomma si ha il paradosso di un’azienda che perde quote di mercato ma invece di rilanciare e investire pensa solo a distribuire dividendi agli azionisti!

CONTRATTO NAZIONALE (E TEDESCHI). Riguardo al suo mancato rispetto in alcune aziende, perché non ci sono i sindacati o non sono forti, non mi sembra una buona ragione per abolirlo a vantaggio di contratti aziendali che dietro il fumo di premialità – e non è questo il caso – comprimono sempre di più i diritti.

In Volkswagen, dove il lavoro costa il 30-40% in più, la settimana lavorativa è di 32-35 ore. Inoltre, in Germania vige il regime della codecisione più che il salario di produttività. Se al sindacato si chiedono sacrifici, non si può non coinvolgerlo nelle decisioni e negli organismi di sorveglianza, rendendo conto anche dei sacrifici proporzionali che farà la proprietà. Esattamente ciò che non avviene in Fiat, dove si spartiscono lauti dividendi.