ROMA – Gli italiani ultimi della classe tra i paesi dell’Unione Europea. La pagella con tanto di classifiche e rendimenti arriva dal rapporto Ocse-Pisa (Programma internazionale di assistenza allo studio) che ha valutato studenti quindicenni appartenenti a 57 paesi in tutto il mondo.

L’unico livello scolastico che in Italia si salva è quello della scuola primaria: dopo le elementari c’è il tracollo. E i risultati sono addirittura più scadenti di quelli valutati nel precedente rapporto del 2003, il che evidenzia un sistema scolastico in continuo declino nel corso degli ultimi anni.

Nella classifica mondiale, l’Italia figura al 37° posto per competenza nelle materie scientifiche (mentre prima è la Finlandia ), al 33° posto nella lettura, (tra i primi tre Corea del Sud, Finlandia, Hong Kong), al 38° posto per le conoscenze matematiche (primi Taiwan, Finlandia, Hong Kong). Siamo seguiti, tra i Paesi europei, solo da Grecia, Portogallo, Bulgaria e Romania. In molte competenze, poi l’Italia non è addirittura rientrata nella classifica per la quale è necessario che almeno il 70% degli studenti di ogni nazione debbano raggiungere almeno il secondo livello di competenze.

Le prestazioni dei paesi asiatici invece continuano ad essere più elevate di quelle dei paesi Europei e degli Stati Uniti. Solo tra il 1995 ed il 2004, ad esempio, il numero di studenti che intraprendono studi universitari è più che raddoppiato in Cina e in Malesia ed è cresciuto dell’83% in Tailandia e del 51% in India. Per quanto riguarda la differenza tra maschi e femmine, invece, le ragazze di tutti i paesi interessati dalla ricerca hanno fatto meglio dei loro coetanei: in particolare, in Italia lo scarto è di 41 punti a favore delle studentesse.

L’indagine Ocse-Pisa mira a verificare in che misura i giovani prossimi all’uscita dalla scuola dell’obbligo abbiano acquisito alcune competenze giudicate essenziali per svolgere un ruolo consapevole e attivo nella società – lettura, matematica e scienze – e per continuare ad apprendere per tutta la vita. L’attenzione non si focalizza tanto sulla padronanza di determinati contenuti curricolari, ma piuttosto sulla misura in cui gli studenti sono in grado di utilizzare conoscenze e abilità apprese durante gli anni di scuola per affrontare e risolvere problemi e compiti anche simili a quelli che si incontrano nella vita reale. La scuola è dunque valutata in riferimento ad un criterio esterno ad essa: la misura in cui essa prepara i giovani per la vita e li equipaggia ad affrontare l’attuale società della conoscenza.

Il Ministro della Pubblica Istruzione Fioroni si è detto molto preoccupato dei dati emersi dal rapporto Ocse sulla salute della scuola italiana: «E’ il motivo per cui abbiamo introdotto non delle nuove riforme, delle quali la scuola non ha bisogno, ma un ritorno ad alcuni elementi di buonsenso – ha dichiarato Fioroni -. In dieci anni abbiamo diplomato otto milioni e ottocentomila studenti con lacune gravi e gravissime con questo sistema dei debiti non recuperabili. Aver ripristinato il recupero entro settembre, e chi non li recupera deve ripetere l’anno, credo che sia un segnale di voler ritornare ad una scuola seria, requisito essenziale per farla essere di qualità. Inoltre l’attenzione posta nell’ultimo anno sulle materie scientifiche, sulla necessità di potenziare l’insegnamento della matematica e delle scienze, ha portato al raddoppio delle iscrizioni alle facoltà scientifiche».

Ma se i ragazzi italiani sono sempre più svogliati la colpa è anche dei genitori che non incentivano allo studio, ma che spesso sembrano quasi proteggere i propri figli da un eccesso di fatica intellettuale. Presidiano e frequentano la scuola come fossero i sindacalisti dei rispettivi pargoli, che crescono con il mito del successo a basso costo. Vengono ostinatamente giustificati per uno scarso rendimento o anche per palesi episodi di bullismo: un chiaro sintomo di come sia cambiata la percezione dello studio e dell’impegno scolastico nel corso degli ultimi anni.